Matteo Sacchi
La mattina del 26 giugno del 2000, in un parco pubblico di Hull, una cittadina del Quebec non lontano da Ottawa, degli agenti della polizia locale trovarono un uomo su una panchina. È conciato male, ha in corpo un cocktail di alcol e droghe.
Sembrerebbe solo una normale brutta storia di degrado e ordine pubblico. Ma no, l'uomo in questione era Roméo Dallaire, generale a quattro stelle dell'esercito canadese. Circa un mese prima era stato dimesso dal suo incarico perché affetto da una grave sindrome di stress postraumatico, quello che qualcuno definisce male da peace keeping.
Dallaire non si era mai ripreso dal peso di aver comandato le truppe dell'Onu in Rwanda e dal senso di colpa per non essere riuscito a prevenire il genocidio della terribile primavera del 1994. Questa la sua croce: «Sono interamente responsabile della morte di dieci soldati belgi... delle ferite non curate di molti dei miei soldati, dell'assassinio di 56 operatori della Croce Rossa, di due milioni di rifugiati e dello sterminio di circa un milione di Rwandesi. Perché la missione è fallita e io mi considero intimamente responsabile...».
Con la descrizione del disastro emotivo di questo militare e di quest'uomo, ben lontano dall'essere l'unico colpevole di un genocidio avvenuto nell'indifferenza del mondo «civilizzato», si apre il libro di Daniele Scaglione: Rwanda, istruzioni per un genocidio (Infinito edizioni, pagg.204, euro 14, introduzione di Mimmo Candito). Da lì il saggio si dipana raccontando la storia del «Paese dalle mille colline» e spiegando in dettaglio come sia stato possibile il massacro - perpetrato da parte di milizie spesso armate solo di machete e bastoni chiodati - di centinaia di migliaia di tutsi e di altrettanti hutu moderati. Il tutto senza che le Nazioni unite siano riuscite a mettere in campo un'azione adeguata, a mobilitare un vero contingente d'intervento.
Il libro pur nella sua brevità.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.