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Raccontare la guerra in un libro del 1944, muovendosi tra le prime, le seconde e le terze scene dello spettacolo, tra gli abbozzati ritratti di soldati, ufficiali, diplomatici e vittime civili, tra il crudo realismo del reporter e il surrealismo lirico del letterato. Quando Curzio Malaparte pubblicò Kaputt, la letteratura europea ha accolto uno dei suoi capolavori.
L'incredibile storia del manoscritto è narrata dallo stesso Malaparte, con qualche modifica tra le varie edizioni (tre solo dal 1944 al 1950), ma sempre con un'allure di leggenda. Scritto tra l'orto e il porcile di un contadino ucraino, la Polonia, la Finlandia e Capri, spezzato in tre e diviso tra un conte, un principe e un addetto stampa, il pericoloso manoscritto è arrivato in Italia ed è diventato un successo internazionale. Lo ritroviamo oggi, dopo tali peripezie, nell'Archivio Malaparte conservato alla Biblioteca di via Senato a Milano? Purtroppo no. Del resto la riapparizione dei più leggendari manoscritti in veste integra e ricomposta, di volandiana memoria, non è un fenomeno comune, e potrebbe persino sciuparne la leggenda. Non sono pochi però gli scritti malapartiani che dialogano con Kaputt, e lo stesso Giorgio Pinotti, autore di un'importante analisi delle varianti del libro per la curatela dell'edizione Adelphi 2009, riconosce l'estrema rilevanza che ha in tal senso il Giornale segreto (1941-44), il quale «può talora scambiarsi di ruolo con il favoloso manoscritto» tanti sono gli appunti sviluppati poi in episodi.
Quando Pinotti ha visionato l'autografo del giornale malapartiano, l'archivio, che richiedeva ancora un monumentale lavoro di ricognizione, era ancora di difficile consultazione. Oggi che quei trecento faldoni sono stati descritti e che un inventario con alti livelli di dettaglio è parte del nostro repertorio interno, cos'altro è possibile ritrovare su Kaputt?
Se il Giornale segreto è, come dice Pinotti, quasi un avantesto del romanzo, Il Volga nasce in Europa, la raccolta di corrispondenze dal fronte russo pubblicata da Bompiani nel 1943, si potrebbe definire un pendant: in Kaputt, l'indimenticabile scena delle teste di cavallo poggiate sulla lastra ghiacciata del lago Làdoga, tra disgeli e trappole di un principio di primavera sopra la Leningrado assediata, dialoga con le terribili pagine che nel Volga descrivono le tracce di lineamenti umani sotto il cristallo del ghiaccio, che il sopraggiunto tepore cancella con implacabile sprezzo. E quei cavalli e quei volti riemergono più volte tra le carte, persino negli appunti di lavoro per la realizzazione di un film presentati agli eredi dell'autore negli anni '80. Infatti, quel «migliaio di documenti» d'archivio che nel 1978 riceveva una prima notifica di interesse storico, ha più che decuplicato la sua mole prima di arrivare presso la Biblioteca di via Senato nel 2009: non solo per via del materiale preparatorio del lavoro collettaneo di Edda Ronchi Suckert, sorella di Malaparte, ma anche per le corrispondenze inviate agli eredi per possibili traduzioni o trasposizioni, e per le più recenti rassegne stampa. L'archivio ha due tempi, e tra questi due tempi narra il successo internazionale di Kaputt e la sua ricezione: quello delle prime recensioni italiane e straniere, dei ritagli raccolti da Malaparte, o da chi per lui, nonché delle lettere o proposte di contratto e di traduzione da questi ricevute; quello dei saggi, dei ritagli e degli opuscoli messi insieme dagli eredi con le successive proposte di riscritture o traduzioni.
Ma c'è altro, tanto altro: tra i carteggi, tra le note manoscritte che si affiancano ai ritagli sul pogrom di Iasi (orrori che Kaputt racconta quando quelle persecuzioni avvenivano nel più generale silenzio), tra le reazioni che alcune pagine del romanzo hanno suscitato tra i loro involontari protagonisti.
I più eminenti specialisti malapartiani hanno visionato il fondo di Milano, tra spizzichi e bocconi o nei suoi primi nuclei documentali; negli ultimi anni, ricercatori di provenienza mondiale si sono succeduti nella nostra sala lettura, dando vita a inedite e brillanti riflessioni critiche. Ma la dovuta rinascita degli studi malapartiani ha ancora tanto da dire, persino sul più noto capolavoro dell'autore. La compilazione archivistica, che è soggetta adesso a più complessi progetti per offrire i migliori strumenti di fruizione, può rendere maggior conto della mappa dei suoi temi, e di quella rete di emissari e affluenti di cui nemmeno un autore tiene traccia compiuta.
Mostrando come, nel coro delle carte più eterogenee, la voce crudele e bellissima del romanzo che compie adesso ottant'anni possa ancora risuonare.* Curatrice dell'Archivio Malaparte presso la Fondazione Biblioteca di via Senato, Milano
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