Si inaugura sabato 15 giugno Biennale Teatro a Venezia edizione 52: molti dei nomi presenti in cartellone fino al 30 giugno sono forse poco noti al pubblico italiano, ma molti di essi valgono la pena di grande attenzione. Tenere d'occhio il Leone d'Oro alla carriera, Back to Back Theatre, pluripremiata formazione australiana che indaga la disabilità, è d'obbligo: arrivano per la prima volta in Italia con un loro classico, Food Court, in cui il nero e il bianco cui è dedicata questa Biennale Teatro trovano protagonismo in una esperienza instabile di surreali luce e vuoto suburbani, fine e umiliazione di una donna. Occhi puntati anche sul Leone d'Argento, Gob Squad Theatre, collettivo anglo-tedesco presente con Elephants in Rooms e l'interessante Creation (Picture for Dorian), che ci chiama in causa come spettatori e umani che vogliono essere guardati.
Indichiamo anche un paio di altri must, da non perdere se siete ancora indecisi su cosa vedere. Un'edizione molto speciale di Tre sorelle di Cechov di Muta Imago, ovvero la regista Claudia Sorace (foto) e il drammaturgo e sound artist Riccardo Fazi: la modalità di riscrittura con cui testo e azioni si intrecciano in un'opera che, pur fedele all'originale, risulta inedita è un piccolo miracolo artistico da non perdere. Voci e corpi delle tre attrici aderiscono e si rispondono con energia corpuscolare: preparatevi anche ad uno «scioglimento» emotivo e sensoriale finale. Altra segnalazione è per il regista e drammaturgo iraniano Amir Reza Koohestani, fondatore del Mehr Theatre Group, che sarà a Venezia con il suo ultimo spettacolo, Blind Runner. Un'ora che tiene con il fiato sospeso: una donna in prigione, un uomo libero, una runner cieca uniti dalla possibilità di una corsa oltre i confini di controllo, tortura, governo tossico.
Potrebbe essere una storia vera, ma viene definita «storia fattuale»: minuto dopo minuto di meccanica dei corpi, capiamo la differenza, forse la stessa che esiste tra libertà reale, la cui conquista è fuori dalla performance, e libertà verbale, declamata dietro invisibili sbarre create dall'esperienza del dolore.
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