L’anno dell’elezione globale che può far girare il mondo

Con le primarie Usa comincia la grande campagna che coinvolge anche Iran, Russia, Francia, Venezuela. Così le urne muteranno gli equilibri internazionali

L’anno dell’elezione globale  che può far girare il mondo

Questo è l’anno dell’elezione globale. Le porte girevoli del pianeta nelle urne: Stati Uniti, Francia, Russia, Grecia, Egitto, Iran, Venezuela, India. Non c’entrano nulla l’uno con l’altro eppure c’entrano moltissimo. Un filo unisce tutto per dirci se gli equilibri del pianeta saranno gli stessi, se il mondo che conosciamo adesso sarà lo stesso. Il 2012 è l’anno di una campagna elettorale continua che parte dalla potenza degli Stati Uniti d’America e collega ogni area geopolitica strategica per il destino collettivo: il Medio Oriente con l’Egitto e l’Iran, l’area Euro con la Francia e la Grecia, l’Est con la Russia, l’Asia e le potenze emergenti con l’India, l’America latina con il Venezuela.

Il planisfero della cabina elettorale è completo. La mappa degli interessi, delle relazioni, dei piani pure: tutti guardano a tutti. L’America aspetta di capire che cosa accadrà in Iran a marzo, quando a Teheran si rinnoverà il Parlamento. Sarà l’inizio di una lunga stagione politica che porterà al voto presidenziale del 2013: Ahmadinejad non può più ricandidarsi, dopo aver governato per due mandati. Arriverà il suo scudiero, Esfandiar Rahim Mashei? Arriverà qualcun altro? Riuscirà l’opposizione a trovare spazio sufficiente per provarci? Non è un affare interno, ovviamente. È roba che interessa tutti, a Mosca, a Pechino, a Bruxelles, a Washington. L’America, già. L’America che è la prima a partire in questo lungo anno di elezioni continue. Si comincia domani, con l’avvio delle primarie repubblicane che dovranno scegliere il candidato da opporre a Barack Obama per le presidenziali del 6 novembre prossimo. Undici mesi di battaglia politica, prima di parte, poi generale. Un Paese in difficoltà e alle prese con un problema di credibilità internazionale proprio a causa della crisi economica: l’America vede nei suoi specchietti la Cina. La sente. Sa che c’è. Sa che si prepara al sorpasso. È il duello che caratterizzerà i prossimi decenni: il dualismo Washington-Pechino, con il suo essere al tempo stesso alleanza e rivalità, opportunità e preoccupazione. È il grande fiume della diplomazia internazionale dal quale partono e arrivano infiniti affluenti. Perché le elezioni in Russia, per esempio, interessano agli Stati Uniti quanto alla Cina. Mosca è un altro gigante che può destabilizzare questo anno: tutti prevedono il ritorno al Cremlino di Vladimir Putin. Le manifestazioni di dissenso degli ultimi mesi, dopo le elezioni parlamentari, hanno cambiato lo scenario. Gli Usa appoggiano i manifestanti, Putin non gradisce, la tensione aumenta. Mai come ora, dalla fine della Guerra Fredda, non c’è stato un periodo di relazioni così agitate tra Washington e Mosca. Pechino osserva e potenzialmente gode. La Russia è strategicamente alleata della Cina in diversi scenari: la Siria, per esempio. Dove entrambi appoggiano il regime di Assad. Oppure in Africa, dove l’influenza cinese è in costante aumento e dove in chiave anti-americana Pechino si fa spesso supportare da Mosca.

Poi c’è l’America latina. Con Hugo Chavez, il Venezuela è stato un problema per gli Stati Uniti e per l’intero Occidente. Si vota a ottobre e nonostante la malattia che lo ha colpito un anno fa, il Caudillo si ricandiderà. L’avversario sarà scelto nelle primarie che cominciano a febbraio. Il risultato di Caracas interessa ancora Washington e poi gli altri: il resto dell’America Latina, che da anni registra una crescita di prestigio, importanza, prodotto interno lordo costante. È una delle zone del futuro. La conferma di Chavez significherebbe continuare ad avere uno strano e pericoloso asse Venezuela-Iran in chiave antiamericana. La sconfitta del presidente in carica, invece, cambierebbe lo scenario. Lo stesso vale per l’Europa. Le presidenziali francesi sono un appuntamento elettorale fondamentale: Nicolas Sarkozy cerca la riconferma, la cerca contro Francois Hollande. Il presidente deve difendersi da sinistra e però anche da destra, dove Marine Le Pen continua a crescere, specie nelle regioni del Sud.

È in difficoltà, Sarkò. Una difficoltà che non riguarda solo lui: sia Hollande, sia Le Pen hanno annunciato che in caso di vittoria non rispetteranno gli impegni economico-finanziari presi da Sarkozy con l’Europa. Provate a immaginare: l’Italia s’è svenata perché Germania e Francia gliel’hanno imposto, poi Parigi rischia di non mantenere le sue promesse. Il 2012 è l’anno dell’incertezza. Si vota per cambiare o per lasciare tutto così com’è. Si vota anche sapendo che potrà andare peggio, come in Egitto, dove il voto già cominciato si concluderà quest’anno e dove rischiano di vincere gli estremisti islamici. Il mondo ora spera, dopo aver scioccamente sperato nella Primavera araba. Il mondo guarda, anche: guarda le elezioni e non solo.

Come in Cina, dove senza voto potrebbe cambiare molto: il partito comunista cinese ha previsto per quest’anno un rimescolamento di tutti i vertici della repubblica popolare. Tutti. Più di un’elezione. Per loro, per noi.

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