L’episodio Quando Falcone incriminò il collaboratore di giustizia «manovrato»

Non ebbe paura di attirarsi le critiche, che pure arrivarono. E non solo non gli credette, dal momento che non c’erano i necessari riscontri, ma ebbe anche il coraggio di incriminare per calunnia il sedicente pentito bugiardo. Altri tempi, quelli di Giovanni Falcone. Era il 1989, l’anno critico del «corvo» e dei veleni alla Procura di Palermo, quando all’allora giudice istruttore si presentò un pentito catanese, Giuseppe Pellegriti, che voleva raccontare un inedito retroscena dell’omicidio del presidente della Regione Dc Piersanti Mattarella, ammazzato il 6 gennaio dell’80. Pellegriti fece un nome, quello - già all’epoca chiacchierato - dell’onorevole Salvo Lima, il luogotenente di Giulio Andreotti in Sicilia. Falcone ascoltò, attentamente. Ma, indagò, e anche a fondo.

Così scoprì che non c’era nulla di vero, visto che l’esecutore materiale indicato da Pellegriti era in galera il giorno del delitto. Pellegriti poi ritrattò, anzi confessò che a dargli l’imbeccata era stato, in carcere, Angelo Izzo. Ma la marcia indietro non fermò Falcone, che lo incriminò per calunnia. Un atto che gli costò pesanti polemiche.

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