nostro inviato a Bruxelles
Il sospirato «Tak» (sì, in polacco) è giunto alle prime luci dell'alba di sabato, dopo quasi 20 ore di furibonde liti e di siparietti surreali. Erano le 4,30 del mattino quando la Polonia dei gemelli Kaczynski, ultimo ostacolo da superare nella giostra delle impuntature, si era finalmente convinta ad accettare l'ultimo testo messo a punto dalla presidenza tedesca. Varsavia doveva rinunciare al diritto di poter ignorare decisioni comunitarie in tema di famiglia (il diritto degli Stati di decidere nel merito è comunque in allegato), ma alla fine portava a casa un ruolo da «grande Paese» con soli 38 milioni di abitanti, oltre che la garanzia di non rischiare crisi energetiche se i russi le chiuderanno i rubinetti del gas, complici i rapporti tesi tra il governo polacco e quello di Putin.
«Risultato incoraggiante», ha detto a quel punto il presidente Lech Kaczynski, non scordando di ringraziare il premier britannico Tony Blair e il presidente francese Nicolas Sarkozy per il loro impegno a trovare una soluzione, ma guardandosi bene dal nominare la cancelliera Angela Merkel e comunque la presidenza tedesca, che pure hanno finito per concedergli molto, moltissimo spago. Ma era da mettere in conto il richiamo a Londra e Parigi, anch'esse uscite vincitrici da quello che è parso il primo vero summit Ue da almeno quattro anni a questa parte. Ricco di argomenti, ma anche di liti, incomprensioni, forzature e cedimenti. La Merkel lo aveva molto probabilmente messo in conto: ma per lei, come per altri l'importante era far ripartire il colosso burocratico-amministrativo della Ue a 27, rivelatosi statua di friabile argilla dopo la bocciatura costituzionale da parte di francesi e olandesi.
L'accusano oggi, nel suo Paese, di aver ceduto troppo. Di aver concesso grandi spazi di manovra agli inglesi (esentati dalle direttive comunitarie su una valanga di temi), di aver subito la pretesa di Parigi di eliminare la concorrenza dal testo del trattato, di aver inghiottito persino la richiesta olandese di restituire prerogative ai singoli parlamenti nazionali a danno di quello europeo (in cui gli animi ribollono tanto a destra che a sinistra). Ma intanto la Bundskanzlerin rimette in moto la macchina e si assicura, fin dal 2009, la fine della presidenza a rotazione semestrale, con un presidente che avrà mandato di due anni e mezzo, rinnovabile; la creazione di un rappresentante permanente per la politica estera e la sicurezza, anche se con poteri un po' ridotti rispetto al previsto; e il passaggio del voto a maggioranza su parecchi temi, anche se dilazionato nel tempo visto che prenderà il via dal 2014 e sarà condizionato fino al 2017 dalle concessioni fornite ai polacchi.
«È stata lunga ma ce l'abbiamo fatta... e il mandato alla conferenza intergovernativa è preciso», ha commentato una Merkel visibilmente provata, cui solo l'offerta di un gran mazzo di fiori da parte del presidente della Commissione europea, il portoghese José Manuel Durao Barroso ha strappato un mezzo sorriso. «Siamo molto soddisfatti», andava ripetendo anche Blair, che fremeva per lasciare Bruxelles e volare a Roma per l'appuntamento papale. Perplesso, se non stizzito, Romano Prodi: «L'Europa ne esce bene, ma lascio il summit pensando che bisogna trovare il modo di dare ai Paesi che vogliono avanzare, di poterlo fare...». Sorrisi e compiacimento invece da Sarkozy, che ci teneva a puntualizzare come, assieme al premier britannico, fosse stato proprio lui a sgombrare il campo dell'ostruzionismo polacco grazie al vecchio e amorevole rapporto tra Parigi e Varsavia: «Non potevamo certo lasciar fuori il più grande dei Paesi dell'ex-est europeo», notava con un pizzico di perfidia, visto che il suo ingresso sulla scena da protagonista - concorrenza a parte - lo si era registrato pochi attimi dopo che la Merkel, spazientita, aveva tirato fuori l'idea della Cig (conferenza intergovernativa) a 26 con la Polonia fuori dal gioco e destinata a subire le decisioni altrui.
A questo punto la palla passa alla Cig: una serie di incontri a livello politico (ministri degli Esteri, ma anche di altri comparti) e tecnico (rappresentanze permanenti a Bruxelles, sherpa dei governi) che da settembre alla fine dell'anno dovranno mettere, nero su bianco, i capitoli del nuovo trattato.
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