«L’Europa non finanzi i terroristi di Hamas»

«L’Europa non finanzi i terroristi di Hamas»

da Roma

Il sogno nel cassetto? Quello di portare l’interscambio Italia-Israle da 2,5 a 8,4 miliardi di dollari. «E cioè pareggiare quello tra Italia e Iran...», ride divertito. Materia per collaborazioni ce n’è: medicina, tecnologie di alto livello, cultura e tanto altro. Ma il presente resta grigio. E alla festa per i 59 anni del suo Paese, proprio oggi, Ghideon Meir, ambasciatore di Gerusalemme a Roma da solo 7 mesi, si presenta più allarmato che felice. «In tutti questi anni non è cambiato nulla. Anzi, forse le minacce alla nostra esistenza sono aumentate visto che a quelle ben note si aggiunge ora anche quella nucleare e che quello che facciamo per difendere le nostre case, nessuno, anche tra gli amici, lo ha fatto né lo farà mai...».
Paesi amici. L’Italia lo è?
«Diciamo che c’è un buon dialogo con l’attuale governo, che abbiamo apprezzato quando è stato il primo a dirsi disponibile a inviare truppe nel sud del Libano, dopo gli scontri dell’anno scorso. Certo, questo non vuol dire che ci sia accordo su tutto. Ma nel corso di incontri con Prodi e D’Alema ho trovato interlocutori attenti, come del resto lo erano Berlusconi e Fini che ebbero anzi un ruolo fondamentale per fare inserire Hamas nella lista delle organizzazioni terroristiche».
Capisco che di Hamas continuate a non fidarvi...
«Si fiderebbe di un movimento che sostiene in maniera per nulla implicita che Israle va distrutto? Guardi che lo dicono ad alta voce, anche dopo la formazione del governo di coalizione con Fatah. Loro non dicono “due popoli e due Stati” come ormai accettano tanti in Israele e anche in qualche Stato arabo: loro pretendono “un solo Stato”. Il che presuppone la disintegrazione di Israele».
È per questo che vi opponete alla riapertura dei rubinetti finanziari europei ai palestinesi, che Abu Mazen (oggi arriva a Roma, ndr) va perorando?
«Chi ha posto condizioni per riavviare i finanziamenti ai palestinesi non siamo stati noi, ma la comunità internazionale. E però accade troppo spesso che se l’Onu o la Ue avanzano una nuova idea per la pace e Israele dice sì e i palestinesi al contrario dicono di no, ecco che le stesse comunità internazionali cominciano a pressare noi, e non chi si oppone... Strano? Purtroppo è così. E dunque se si riavviassero i finanziamenti europei al governo palestinese dove Hamas domina, ecco che si fornirebbero soldi non per la pace, ma al terrorismo».
Ne è sicuro?
«La striscia di Gaza è un arsenale pronto a esplodere. Nelle ultime settimane abbiamo sventato due enormi attentati e sappiamo che aumenta il numero dei missili Kassam che vengono nascosti. Solo il nostro esercito e la nostra intelligence riescono a sventare le minacce che ci sono portate quotidiamente».
Ma il piano di pace saudita? Credete o no che possa cambiare lo stato delle cose?
«Alcune cose, come i due Stati, paiono positive. Ma nel recente vertice a Beirut della Lega Araba si è tornati all’idea del “diritto di ritorno” che esclude che possano esserci due Stati. Una pura pretesa di sparizione dello Stato ebraico che per noi è inammissibile. Spero l’Europa ne tenga conto».
Ambasciatore Meir, perché alcuni in Europa, e anche in Italia, non amano Israele?
«Intanto perché trasformare la vittima in aggressore, sana i sensi di colpa, come dimostra il fatto che spesso accomunano le nostre azioni militari a quelle dei nazisti! Poi resta una robusta dose di antisemitismo, spesso mascherato da antisionismo. Ancora, ci si giudica con gli occhiali del colonialismo europeo e naturalmente c’è di mezzo la crescita dell’Islam nel Vecchio continente. Non siamo anti-musulmani, ma non possiamo far finta di niente davanti a un integralismo che si fa antisemita e vuole distruggerci».
Una cura possibile?
«Maggiore conoscenza di quel che siamo: una democrazia vera, tant’è che la nostra Corte suprema ha vietato partiti razzisti anti-arabi e che nel nostro Parlamento sono eletti arabi che vogliono la fine dello Stato di Israele. Più interscambi, culturali, commerciali, turistici. Sapere che noi vogliamo la pace davvero. Ma che troppo spesso ci troviamo davanti a un muro».
Ultima questione: il Libano. Funziona la forza d’interposizione europea?
«Con la guerra siamo riusciti ad allontanare Hezbollah dai nostri confini e a distruggere i loro arsenali missilistici. Confidiamo che il contingente Unifil esegua il compito affidatogli sotto il comando italiano perché altrimenti si potrebbe nuovamente arrivare allo scontro. Sappiamo che i rifornimenti d’armi dalla Siria al terrorismo sono ripresi e abbiamo anche fornito prove.

Quel che accadrà prossimamente nel Libano del sud è un interrogativo aperto di cui si discute molto anche a Gerusalemme. Ci auguriamo tutti che l’Europa si renda conto del ruolo vitale che sta giocando là, a cominciare dal governo italiano».

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