L’orologio elettorale dei giudici

È bene che Francesco Storace abbia riportato in vigore l’istituto delle dimissioni che, in era repubblicana, è caduto spesso in un’indecente desuetudine. I ministri, ancorché maschietti, dovrebbero essere sempre come la moglie di Cesare, non possono essere lambiti dal sospetto e restare abbarbicati alla poltrona come ad un’ultima trincea. Non sappiamo ancora se, come e quanto l’ex ministro della Salute sia coinvolto nella vicenda di spionaggio politico che gli si attribuisce, ma la storia in sé – da quanto se ne sa – è torbida e intollerabile. Una specie di Watergate alla vaccinara, avversari spiati con i congiunti, cialtroni che spuntano conti e controllano frequentazioni, infiltrati e sgambetti in una spy-story casereccia ma non per questo meno sordida. Storace - come ha spiegato - potrà difendersi meglio e riduce, intanto, la pressione denigratoria esercitata dalle sinistre sul suo partito e sulla maggioranza. Il ministro saluta e se ne va, doveroso, ben fatto. Anche perché l’Unione non fa prigionieri, nemmeno adesso. Fassino è all’attacco, col livore di un intercettato di chiara fama, e per quel brutto affaire Unipol-Consorte. Romano Prodi, con quell’ipocrisia che è cugina germana della sua finta bonomia, sostiene che non sfrutterà questa storia in campagna elettorale, ma intanto premette: «Questa fine di legislatura è una catastrofe».
Già, siamo alla fine della legislatura e a meno di un mese dal voto. Non bisogna mai perdere di vista il calendario. Questa storia di spioni e di spiati meritava certamente - se gli sviluppi dell’inchiesta confermeranno le prime, clamorose, anticipazioni – l’attenzione della magistratura, ma converrà porsi qualche domanda sui tempi. Par di capire che già nel 2005, quando era calda la competizione politica per le regionali, quelli che spiavano Alessandra Mussolini e Piero Marrazzo erano a loro volta spiati. In questo Paese di intercettati e intercettatori, legali e illegali, un controllino non si nega a nessuno. Ma perché gli arresti e le «clamorose rivelazioni» spuntano fuori adesso per approdare sulle prime pagine dei giornali? Non si poteva procedere con tanto fragore sei mesi fa o fra tre mesi? Dobbiamo fare penosi esercizi di continenza e di silenzio, è vero, ma chi può dissipare il sospetto che questo spettacolare intervento giudiziario non faccia, in qualche modo, esso stesso parte della campagna elettorale? Domande impossibili. E perché per spionaggio commesso a Roma è competente la Procura di Milano? Magari fra qualche mese la competenza tornerà ai giudici naturali, ma intanto la pattuglia dei soliti noti si muove e crea tante onde nello stagno.
Maledetto calendario. Sarà certamente un caso, ma proprio ieri, mentre montava il caso Storace, la Procura del rito ambrosiano ha chiesto il rinvio a giudizio per Silvio Berlusconi per la storia della presunta corruzione dell’avvocato londinese Mills. Anche questa è una vicenda stagionata, risale a nove anni fa. Di colpo, con una decisione che somiglia a un fendente di spada mediatica, i rappresentanti della pubblica accusa hanno deciso di respingere le legittime richieste di approfondimento e di indagine avanzate dalla difesa. Che non chiede la luna, chiede che si stabilisca una volta per tutte, ripercorrendo il tragitto del denaro, chi versò una certa somma a Mills. Ma evidentemente la vera verità non interessa poi molto a quei pubblici accusatori. Né interessa a certa stampa italiana che il Financial Times abbia pubblicato i risultati di un’accurata inchiesta le cui conclusioni dicono che Berlusconi non pagò quei soldi a Mills.

La stampa inglese interessa soltanto quando attacca il Cavaliere.
Guardiamo il calendario e constatiamo che le elezioni sono come le feste del santo patrono, vanto del campanile italiano: esigono i fuochi pirotecnici. E mediatici, ovviamente.

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