Con la prima fidanzata andò così: «Frequentavamo la stessa scuola, il Liceo Classico Jacopo Sannazaro, solo che io ero in terza e lei in prima. Aveva sedici anni ed era bellissima. Era convinta che le persone che abitavano al Vomero fossero tutti cafoni. Io, pur essendo originario del quartiere Santa Lucia, mi ero trasferito lì da appena un anno. Così le dissi che abitavo a via dei Mille, e ogni mattina dal Vomero scendevo a piazza Amedeo, dove avevamo appuntamento e prendevo la funicolare con lei. Per racimolare i soldi dei biglietti, ben venti lire a settimana, fui costretto a vendere i miei libri». Luciano De Crescenzo, ne è valsa la pena? «Ancora oggi non ne sono del tutto convinto». Oggi, a 88 anni, Luciano De Crescenzo riflette sull'amore, come prima di lui hanno fatto, per secoli, i filosofi che «frequenta» da sempre, e poi i poeti, gli scrittori, i pittori, i registi e tutti quanti, alla fine. Sarà anche per questo che il suo ultimo libro, Non parlare, baciami (Mondadori) è stato a lungo in classifica. Napoletano che adora Napoli («È come una donna capricciosa di cui sono perdutamente innamorato: per quanto mi faccia arrabbiare, non riesco a non perdonarla»), vive da anni a Roma («Probabilmente in uno dei luoghi più belli della città, vicino ai Fori Imperiali») con il cane Conca, «intelligentissimo».
Luciano De Crescenzo, come sta?
«Relativamente bene».
Come mai ha deciso di scrivere un libro sull'amore?
«Ecco, mi piaceva l'idea di racchiudere in un solo libro i filosofi che hanno provato a spiegare che cosa sia».
Perché innamorarsi non conviene?
«In ogni relazione c'è sempre uno che soffre e un altro che si annoia. Perché ci si innamora contemporaneamente, per poi disamorarsi in tempi diversi».
Lei è quello che si annoia o che soffre, di solito?
«Io di solito sono quello che soffre».
È davvero meglio l'amicizia dell'amore?
«Quando è sincera, sì: non solo dura più a lungo, ma con il passare degli anni cresce sempre di più. Insomma, è uno dei sentimenti che ci aiuta a vivere in larghezza».
A lei piace la solitudine?
«La solitudine è un'arma a doppio taglio: ci sono momenti della vita in cui la desideri, e altri in cui la subisci. Io continuo a ricercarla, ma non come un tempo».
Le donne per lei?
«La mia delizia, ma anche la mia croce».
Scrive che ciascuno ha a disposizione tre amori.
«Non lo dico io, ma le statistiche. In media, a ognuno toccano un amore intorno ai sedici anni, uno durante la maturità e uno quando si è anziani. Io li ho vissuti tutti e tre».
Il primo?
«La prima che mi viene in mente è Lilly. Avevo nove anni e lei era più piccola di me di un anno. Abitava nel mio stesso palazzo. Ci incontrammo sul terrazzo in comune. Appena la vidi me ne innamorai. Inizialmente non mi degnò di uno sguardo, poi diventammo inseparabili».
«Per disamorarsi basta un minuto»: è successo anche a lei?
«Credo di sì, ma è passato così tanto tempo che non ricordo quando».
Davvero la forma eterna di amore è il tifo?
«Sì, quello che si prova nei confronti della propria squadra di calcio è un amore che possiamo definire eterno. Credo sia l'unica forma di fedeltà esistente».
Ma l'unione perfetta esiste?
«Se ne discute almeno dal V secolo a.C.. Ancora oggi non siamo stati in grado di trovare una risposta».
È stato fidanzato anche con Isabella Rossellini. Come la conobbe?
«In occasione delle riprese de Il pap'occhio. Il nostro fu innanzitutto un coinvolgimento mentale. Parlavamo di tutto... Racconta una cosa oggi, racconta una cosa domani, ci innamorammo».
È vero che voleva sposarla?
«Impegni di lavoro la portarono a New York e ci separammo. È stata la nostra fortuna. Probabilmente, se l'avessi sposata, il nostro amore avrebbe avuto una fine. Così, invece, ancora oggi ci vogliamo un gran bene».
È un uomo geloso?
«Non particolarmente. Ho avuto un rivale, però ancora oggi è uno dei miei più cari amici».
Nel libro accenna a una «sensale» che combinò il matrimonio dei suoi genitori. Come andò?
«La sensale in questione è donna Amalia a Purpessa, ed è stato grazie a lei che mia madre, che sembrava ormai destinata a un futuro da zitella, ha incontrato mio padre. Ora però, vorrei chiarire una cosa: non è che mia madre non avesse trovato marito perché fosse brutta, tutt'altro. Era stata solo un pochino sfortunata».
Che cosa faceva suo padre?
«Aveva un negozio di guanti in piazza dei Martiri a Napoli. Anche se in realtà avrebbe preferito fare il pittore. Io passavo spesso da lui, ma non per aiutarlo: è che accanto c'era il negozio della Perugina, dove i ragazzini si scambiavano le figurine...».
È vero che da ragazzino era vicino di casa di Bud Spencer?
«Carlo non era solo il mio vicino di casa, eravamo anche compagni di scuola. Abitavamo nel quartiere Santa Lucia. Era grazie alla sua stazza che ogni mattina riuscivo ad attraversare il Pallonetto, una specie di via Pal pericolosa, rimanendo incolume».
Dopo la scuola scelse di iscriversi a Ingegneria. Come mai?
«Fu tutta colpa di una donna. Avrei voluto iscrivermi a Filosofia ma, mentre andavo all'università, incontrai una ragazza. Subito attaccai bottone e scoprii che anche lei stava andando lì, ma per una lezione di Matematica».
Così la seguì a Matematica?
«Sì. E mi innamorai, non di lei però, bensì del professor Caccioppoli e della passione con cui tenne la sua lezione. Così decisi di cambiare i miei piani».
Poi ha lavorato 20 anni all'Ibm, come rappresentante commerciale.
«Inizialmente fui nominato marketing manager; dopo pochi anni vicedirettore. Proprio quando stavo lì lì per essere promosso a direttore lasciai il lavoro per la scrittura».
Fu una scelta difficile?
«Ora che ci penso, non fu così difficile come sembra... La verità era che quel lavoro mi annoiava un po'».
Come ha scoperto la passione per la scrittura?
«Scrivere mi era sempre piaciuto, ma il lavoro fagocitava buona parte del mio tempo, fino a quando decisi di scrivere Così parlò Bellavista».
Come nacque l'idea?
«All'inizio volevo raccogliere dei fattarielli in un libro. Alcuni li avevo vissuti, altri mi era capitato di leggerli sui giornali locali. Man mano che li mettevo insieme il libro prendeva forma, fino a diventare ciò che poi è stato».
Un successo enorme. Come è accaduto?
«Una sera mi ritrovai a cena a casa di Renzo Arbore e, tra gli ospiti, c'era un signore paffutello e con i baffi. Il signore in questione era Maurizio Costanzo. Durante la serata gli raccontai che avevo da poco pubblicato un libro e lui mi invitò a parlarne durante la sua trasmissione dell'epoca, Bontà loro».
Così fece.
«Durante la trasmissione Costanzo mostrò la copertina del libro. Fino a quel momento aveva venduto circa cinquemila copie. Un mese dopo erano centomila, poi duecentomila... A quel punto lasciai il lavoro di ingegnere per dedicarmi alla carriera di scrittore».
Le piaceva andare in tv?
«Mi divertiva molto, anche perché di solito ero in compagnia dei miei amici: Marisa Laurito, Renzo Arbore, Andy Luotto, Domenico De Masi e tanti altri».
Pochi anni dopo recitò nel Pap'occhio come Padreterno: un ruolo impegnativo.
«Più che impegnativo, lo definirei unico».
Il regista di quel film era Renzo Arbore: siete diventati subito amici?
«Appena conosciuti scoprimmo di essere fidanzati con la stessa ragazza. Entrambi decidemmo di lasciarla e iniziammo un'amicizia che dura ancora fino a oggi».
Allora il rivale in amore che è diventato suo amico è Arbore?
«Sì».
È stato a sua volta regista. Il suo film preferito?
«Probabilmente Così parlò Bellavista, è un po' come il primo amore... Ha lasciato un segno indelebile e ha contribuito a cambiare la mia vita».
Che cosa ricorda di quando ha recitato con la Loren?
«Sophia era ed è tutt'ora una donna bellissima. Avrei sfidato chiunque a lavorare con lei e non restarne affascinato».
I suoi libri hanno venduto circa venti milioni di copie in tutto il mondo. Come si spiega tanto successo?
«Ho reso concetti, all'apparenza difficili, comprensibili a tutti. Spesso capita che le persone mi dicano di essersi appassionate alla filosofia grazie ai miei libri. Ecco, questa è una delle soddisfazioni più belle».
E perché i critici l'hanno snobbata lo stesso?
«Questo dovrebbe chiederlo a loro».
E i premi?
«Qualche premio l'ho ricevuto. Ma quello che mi ha sempre interessato più di tutti è l'affetto dei lettori. Quindi, detto tra noi, essere stato snobbato da quelli istituzionali non mi interessa più di tanto».
Crede che ci sia invidia o pregiudizio?
«Forse il secondo... Ma sa, il pregiudizio è un limite di chi lo attua, non di chi lo riceve».
Come immagina le sue storie?
«Piuttosto direi quando. La mattina presto, dentro la vasca da bagno. Basta chiudere gli occhi. Provare per credere».
Ma da bambino che cosa sognava di fare?
«L'ingegnere».
Come nascono le sue battute?
«Non saprei, a volte capita che io dica delle cose seriamente e chi mi ascolta non possa fare a meno di sorridere. Forse la mia è una simpatia inconsapevole».
La tv la guarda?
«Di tanto in tanto. Sono in quella fase della vita in cui è più semplice cambiare canale che cambiare il mondo. Alla tv però preferisco sempre un buon libro. A meno che non ci sia la partita del Napoli».
Su un'isola deserta che cosa porterebbe?
«Sicuramente dei libri e gli occhiali».
Filosofo preferito?
«D'impatto direi Socrate. Ma anche Sant'Agostino perché è l'inventore del Purgatorio, la via di mezzo tra il Paradiso e l'Inferno».
Come si è appassionato alla filosofia greca?
«Più che la filosofia, la mia prima passione è stata la mitologia. Avevo quattro anni e mio padre mi regalò un libro, La leggenda aurea degli Dei e degli Eroi. Ne conservo ancora la copia. Dal momento in cui ho cominciato a leggerlo è iniziata una passione che non mi ha più abbandonato».
Ma gli antichi greci erano meglio di noi?
«L'uomo moderno nasce con i greci, e chi legge i miei libri sa che spesso in sogno mi faccio delle gran chiacchierate con loro».
«Se una persona non ha dubbi, diffidate». Perché?
«Solo gli sciocchi non hanno dubbi».
Lei ha dubbi?
«Mai... Scherzo, sono un praticante del dubbio».
E paure?
«Di tanto in tanto».
È nostalgico?
«A volte, ma forse è colpa dell'età».
Ha fede?
«Da sempre, più che un credente mi definisco uno sperante: spero che dopo la morte ci sia l'aldilà, non fosse altro per la possibilità di rivedere mia madre».
Perché ha detto che i tre esseri umani più importanti sono Fellini, Socrate e Gesù?
«Fellini era il mio regista preferito. Pensi che avevo corrotto la sua segretaria e mi facevo dire quali erano i ristoranti dove andava a pranzo solo per incontrarlo. Oggi mi avrebbero definito uno stalker, ma la mia era solo ammirazione».
Socrate?
«A Socrate devo il mio amore per la filosofia. Gesù possiamo considerarlo il filantropo per eccellenza, perché ha amato tutti allo stesso modo, indistintamente».
È felice?
«Più che felice mi sento fortunato. A differenza di tante altre persone ho avuto la possibilità di vivere due vite: la prima da ingegnere e la seconda da scrittore. Se non è fortuna questa».
Ma lei «conosce se stesso»?
«Sicuramente ho dei dubbi a riguardo».
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