L'arte si fa woke... ma solo a parole. Chi compra vuole i "bianchi noiosi"

Le liste dei più influenti, secondo la critica, comprendono asiatici, arabe e afroamericane. Ma alle aste si vendono i soliti europei

L'arte si fa woke... ma solo a parole. Chi compra vuole i "bianchi noiosi"

Il Mona è il Museum of Old and New Art della Tasmania e giuro che non ho deciso di parlarne per via dell'acronimo. Il fatto è che, nel 2020, la sua curatrice, Kirsha Kaechele vi ha aperto il «Ladies Lounge», una sezione con opere d'arte femministe cui potevano accedere solo visitatrici donne. Nel marzo del 2024 un visitatore di sesso maschile, cui non era stato permesso di entrare nel «Ladies Lounge», ha denunciato la cosa al commissario antidiscriminazione della Tasmania e un tribunale si è pronunciato in suo favore. Kirsha Kaechele ha risposto spostando le opere d'arte del «Ladies Lounge» nel bagno delle donne. Il Mona ha poi presentato ricorso alla Corte suprema dello Stato e ha vinto, perché i giudici hanno stabilito che l'originale «Ladies Lounge» in realtà promuoveva le pari opportunità, e a metà dicembre il «Ladies Lounge» ha riaperto al pubblico. Femminile. La cosa è raccontata nei dettagli in un articolo di Artsy sulle occasioni in cui l'arte è diventata virale nel 2024. Artsy è una popolare piattaforma online di compravendita e attualità d'arte, e come tante altre che intorno all'arte ruotano, tra fine dicembre e inizio gennaio pubblica ricapitolazioni sull'anno passato e previsioni su quello nuovo.

L'aneddoto del Mona non l'ho scelto solo perché è comico, ma anche perché è rappresentativo di ciò che è stato il '24 e ci aspetta nel '25. Prendiamo la lista «Power100», stilata ogni fine anno dalla testata londinese ArtReview. Alla sua ventitreesima edizione, «Power100» è ormai considerata un punto di riferimento, cui si guarda per vedere chi nel mondo dell'arte è stato e sarà più influente, perché fa un quadro di chi decide quale arte viene e verrà esposta, quali argomenti affrontano e affronteranno le istituzioni artistiche, qual è stato e sarà l'indirizzo del mercato. Ebbene, la lista è zeppa di figure che si occupano di parità di genere, decolonizzazione, minoranze svantaggiate. D'altronde il mondo dell'arte è percorso da tempo da questa ondata tematica che sta tra progressismo autentico e apparato woke. Ovviamente non è che dedicandosi a questi temi non si produca, o non si promuova, venda, esponga, buona arte. Il dubbio è che così passi anche tanta arte mediocre, che coglie le opportunità di essere di area. Com'è accaduto, per esempio, alla Biennale d'Arte di Venezia 2024, curata da un Adriano Pedrosa che a forza di gualdrappe e coperte ricamate ha dato un taglio vagamente mercatino etnico shabby chic alla sua deludente Stranieri ovunque. Pedrosa tra i «Power100» occupa il posto numero 33. Al numero uno c'è la sceicca Hoor Al Qasimi, presidente della Sharjah Art Foundation negli Emirati Arabi, e co-curatrice della prossima Biennale di Sharjah, per la quale ha nominato un pool di curatrici tutto al femminile. Al secondo posto l'ineffabile Rirkrit Tiravanija, l'artista tailandese celebre per i suoi «eventi partecipativi», dove cucina per i visitatori o gli mette a disposizione tavoli da ping-pong su cui fare due tiri con lui. Al terzo la scrittrice, intellettuale e storica afroamericana Saidiya Hartman, che, cito ArtReview, è una commentatrice vitale delle conseguenze della schiavitù, e un esempio significativo per gli artisti che esplorano le narrazioni «whitewashed» della storia.

La lista scorre così, tra artiste e artisti, curatrici e curatori, pensatrici e pensatori asiatici, africani, mediorientali, sudamericani. Maschi bianchi (cis e privilegiati, aggiungerei come battuta) non pervenuti fino alla posizione 28, dove insieme a Manuela Wirth troviamo Iwan Wirth e Marc Payot, ovvero i titolari della galleria londinese Hauser & Wirth. Abbastanza ironicamente è proprio tra i galleristi che troviamo la più parte degli altri «Power100» di categoria: Larry Gagosian, David Zwirner, Emmanuel Perrotin, delle omonime gallerie, e Marc Glimcher e Jay Jopling di Pace Gallery e White Cube. Italiani? Patrizia Sandretto Re Rebaudengo e Miuccia Prada, con le loro ricche, spettacolari collezioni e musei.

Le artiste e gli artisti europei sono invece quasi del tutto snobbati ma va meglio se torniamo su Artsy. Nella sua lista dei dieci artisti più influenti del 2024 c'è Isabella Ducrot. Non la conoscete? Eppure è una rising star, sebbene tardiva, il cui successo è arrivato dopo i 90 anni. È nata a Napoli nel 1931, Mosca è il suo cognome da nubile, vive a Roma dove lavora con tessuti e arte figurativa per opere di estrema grazia, oggi amatissime dai collezionisti. In lista c'è anche Maurizio Cattelan. Gli ultimi mesi del 2024 ha tenuto banco il caso Comedian, ovvero la sua banana scocciata, con l'aggiudicazione da Sotheby's a più di sei milioni di dollari a fronte di una stima di solo un milione.

Ironie a parte, quanto a mercato si è trattato di un segnale positivo, come ogni volta che si supera la stima o il top price di un artista. È successo anche per le vendite-record dell'anno, ovvero L'empire des lumières (1954) di René Magritte e Standard Station, Ten-Cent Western Being Torn in Half (1964) di Ed Ruscha, con i loro 121 e 68 milioni di aggiudicazione. Ma il capolavoro surrealista è stata l'unica opera ad essere aggiudicata quest'anno sopra i 100 milioni, rispetto a due l'anno scorso e sei nel 22. Ancora: nel 2024 il prezzo totale dei cento lotti più costosi venduti all'asta nel mondo è andato vicino a 1,8 miliardi di dollari, in confronto ai 2,4 miliardi del 23 e ai 4,1 del 22. Bene dunque il mercato, ma non benissimo.

Quest'anno dietro a Magritte e Ruscha, nelle prime 10 aggiudicazioni ci sono 65 milioni di dollari per Nymphéas (191417) di Claude Monet, 46 per Untitled (ELMAR) (1982) di Jean-Michel Basquiat, e altre aggiudicazioni sopra i 30 milioni per un altro Magritte, un altro Monet, due van Gogh, un Warhol, un Rothko. Artisti blue chip, più che storicizzati, e dunque investimenti di pregio, sicuri. Ma allo stesso tempo, ci dice Artprice, nella prima metà del 2024 i lotti venduti per meno di 10.000 dollari sono stati il segmento in più rapida crescita, con il 91% delle opere d'arte offerte in asta nel mondo, in aumento rispetto agli anni precedenti. Allora dov'è calato il volume d'affari? Nella terra di mezzo di chi dalle decine e centinaia di migliaia (di dollari o euro) avrebbe dovuto fare il balzo verso territori milionari, ovvero gli artisti più rischiosi, magari di moda ma poco storicizzati.

Nel giro delle interviste su mercato 2024 e tendenze 2025 tutti gli esperti concordano sull'espansione del mercato asiatico e mediorientale. Dove però curiosamente i collezionisti sembrano puntare sulla solita, vecchia, noiosa arte europea e americana.

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