Presidente Aversa, quali sono i sostegni pubblici veramente utili al settore automotive?
«Più importanti sono sicuramente gli incentivi agli investimenti in chiave innovativa, di miglioramento della capacità produttiva e, soprattutto, ingegneristica. Il costo di un veicolo dipende molto dall’elettronica e dal software, ma tra dieci anni sarà incentrato soprattutto sul software. Ci si deve attrezzare per procedere rapidamente in questa direzione».
Inizia dal tema incentivi, tra le ragioni dello scontro in corso tra Stellantis, che li chiede più pesanti per le auto elettriche, e il ministro Adolfo Urso, intenzionato a virare dal 2025, concedendoli solo in base alla produzione di veicoli in Italia, la serie di domande a Stefano Aversa, presidente europeo e vicepresidente mondiale di AlixPartners, colosso della consulenza, tra l’altro parte tecnica alle riunioni del «Tavolo Automotive».
In generale, però, l’attenzione è più rivolta agli incentivi per l’acquisto di una vettura.
«C’è un’enfasi eccessiva sugli incentivi al mercato dell’auto, da considerare come misura temporanea che dovrebbe servire ad attenuare impatti come quelli della recente pandemia e della transizione energetica.
Non devono, invece, essere strutturali. E il fatto che lo possano diventare è un problema».
Intanto, Stellantis e governo sono ai ferri corti.
«Sarebbe auspicabile che entrambi cercassero di abbassare i toni. Penso anche che ci siano stati fraintendimenti tra le parti e interpretazioni sbagliate, forse anche a causa delle lingue diverse e di traduzioni poco fedeli. Vero è che con il “Tavolo Automotive” si sta facendo, forse per la prima volta in Italia, il tentativo di un piano industriale che porti a salvaguardare la capacità. Un piano che richiede il contributo di tutti gli attori interessati, fino alle Regioni e ai Comuni dove hanno sede gli stabilimenti».
Il caso Mirafiori ha riportato alla ribalta il fatto che nel Paese ci sarebbero troppe fabbriche di auto.
«In Italia c’è un problema di sovraccapacità, come anche in Europa. Da noi, però, è storicamente maggiore».
Intanto, il governo ha aperto a un possibile nuovo costruttore disposto a scommettere sull’Italia.
«Assumendo che con Tesla abbiamo perso questo giro, visto il secondo investimento europeo in Ungheria, un cinese potrebbe essere l’alternativa».
E lo Stato nel ruolo di azionista?
«Lo ritengo non necessario. Il caso Stellantis: l’Italia, a oggi, ha leggermente aumentato la quota di produzione, mentre in Francia, nonostante la presenza diretta dello Stato, è calata. C’è poi la Spagna, senza una presenza azionaria, che è cresciuta più di tutti grazie alla maggiore competitività».
Si riuscirà, in Europa, a produrre seriamente batterie?
«Ha senso se si dominano tecnologia e chimica delle batterie, si aumenta il rapporto energia-peso e la loro resilienza ai cicli di ricarica. Bisogna fare di più».
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