Per Amazon la crescita infinita favorita dall'era pandemica è terminata e assieme alla contrazione borsistica arrivano i tagli ai posti di lavoro. Il New York Times ha annunciato oggi lo scoop dell'intenzione del gruppo di Seattle di ridurre di circa l'1% la sua forza lavoro da 1,5 milioni di persone licenziando ben 10mila lavoratori in quello che sarebbe il più grande taglio di personale della storia dell'azienda e potrebbe essere operativo già questa settimana.
"I tagli si concentreranno sull'organizzazione dei dispositivi di Amazon, incluso l'assistente vocale Alexa, così come nella sua divisione retail e nelle risorse umane" e saranno operati "a livello aziendale", cioè nel personale che lavora nell'organizzazione commerciale del gruppo, preannunciando una ben più ampia sforbiciata in una forza lavoro in larga misura fondata su lavoratori precari. La pandemia ha prodotto il biennio più redditizio mai registrato da Amazon: in tutto l'Occidente i consumatori si sono riversati sullo shopping online e le aziende hanno fatto incetta dei servizi di cloud computing. Il colosso dell'e-commerce statunitense ha indicato di recente che le entrate nel periodo decisivo dell'anno, il quarto trimestre che include il Black Friday e lo shopping natalizio, saranno probabilmente inferiori di 8-15 miliardi ai 155 miliardi di dollari previsti dagli analisti in precedenza. Questa differenza eroderà enormemente i profitti che scenderanno trimestralmente a 3-5 miliardi di dollari, un record negativo negli ultimi anni.
E dunque anche l'azienda più grande del big tech americano reagisce, come avevamo anticipato su Inside Over, nel modo più tradizionale: cercando di limare i costi partendo dal personale. "Il cambiamento dei modelli di business e l'economia precaria hanno scatenato licenziamenti in tutto il settore tecnologico", nota il New York Times. Amazon, qualora formalizzasse i 10mila licenziamenti, si inserirebbe nel trend generale di perdita di questa forma di verginità da parte del Big Tech, che aveva costruito i suoi successi e il suo mito anche sull'illusoria possibilità di scampare a queste logiche da old economy. Ma in una fase in cui "Elon Musk ha dimezzato il numero di dipendenti di Twitter questo mese dopo aver acquistato la società, e la scorsa settimana, Meta, la società madre di Facebook e Instagram, ha annunciato che stava licenziando 11.000 dipendenti, circa il 13% della sua forza lavoro" e "anche Lyft, Stripe, Snap e altre aziende tecnologiche hanno licenziato lavoratori negli ultimi mesi" era inevitabile che la più grande di tutte le aziende, nonché la più inflazionata dal biennio globale di vacche grasse, subisse una brusca frenata.
Brad Glasser, un portavoce di Amazon, ha rifiutato di commentare al quotidiano della Grande Mela le indiscrezioni. Nel frattempo le azioni del gruppo di Seattle sono al livello più basso dai primi giorni della pandemia, e la fase di flessione seguita all'aumento dei tassi della Federal Reserve ha agito cancellando centianaia di miliardi di dollari di valore e portando a mille miliardi di dollari la perdita di capitalizzazione cumulata da quando Andy Jassy ha assunto la carica di amministratore delegato l'anno scorso. Jassy, ex direttore della redditizia e strategica divisione cloud computing di Amazon, "ha esaminato attentamente le aziende per ridurre rapidamente i costi" e sta agendo con l'accetta. 80mila i posti di lavoro tolti di mezzo via via da inizio anno, a cui si somma il blocco di 10mila assunzioni a ottobre. Con 10mila licenziamenti a livelli medi saremmo a quota 100mila posti di lavoro cancellati o non colmati: un vero e proprio riflusso della marea che mostra come anche i ricchi piangano. E che la fine della fase di vacche grasse di Amazon e compagnia può essere un bagno di sangue per centinaia di migliaia di lavoratori americani.
Del resto per Jeff Bezos il rischio di un impoverimento non è senz'altro contemplato, anzi. Come sottolineato su queste colonne da Roberto Vivaldelli, il magnate proprietario di Amazon in un'intervista esclusiva alla Cnn, che donerà la maggior parte del suo patrimonio da 124 miliardi di dollari in beneficienza: una mossa filantropica con grandi ricadute per le tasche personali di Bezos, che potrà "dedurre fino al 20% le donazioni dal suo reddito imponibile per cinque anni" arrivando a pagare di fatto imposte sul reddito nulle come già fatto in passato da altri big: George Soros, Bill Gates e il rivale in affari Elon Musk.
Tanto che Dagospia non ha esitato a mettere in parallelo l'annuncio della donazione, avvenuto ieri, con lo scoop del New York Times sui licenziamenti operati dal colosso di cui Bezos resta proprietario e decisore. A pensar male si fa peccato, certamente. Ma spesso ci si azzecca. E con Big Tech non sarebbe la prima volta.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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