N el saggio Teoria della dittatura (Ponte alle Grazie, pagg. 220, euro 16,50) il pensatore Michel Onfray rilegge il romanzo 1984 di George Orwell, pubblicato nel 1949, come se fosse un trattato sulla dittatura. Lo scrittore francese desume dal romanzo, una distopia che mette nel mirino il comunismo, le «leggi» del perfetto regime totalitario. Sorpresa! Le rispettiamo già tutte, eppure siamo convinti di vivere in una democrazia liberale... Certo, si potrebbe rispondere con la famosa frase che si legge sulla aletta della prima edizione del romanzo distopico Mondo nuovo di Aldous Huxley, tra l'altro professore di Orwell: «La dittatura perfetta avrà sembianza di democrazia, una prigione senza muri nella quale i prigionieri non sogneranno mai di fuggire. Un sistema di schiavitù dove, grazie al consumo e al divertimento, gli schiavi ameranno la loro schiavitù».
Torniamo a Onfray. Come si instaura dunque una moderna dittatura? Ecco le istruzioni principali. Primo. Distruggere la libertà attraverso mezzi come la sorveglianza continua, la distruzione della vita personale, l'imposizione di un'opinione egemone, la denuncia dei crimini di pensiero. Secondo. Impoverire la lingua. Si distruggono le parole, si eliminano i classici, si parla una lingua nuova e globale. Terzo. Abolire la verità e sostituirla con l'ideologia. Quarto. Sopprimere la storia o almeno riscriverla con gli occhi dell'ideologia corrente, processandola e condannandola, se proprio non si può cancellare. Aiuta anche distruggere i libri o almeno pubblicare solo quelli fedeli alla linea. Quinto. Negare la natura. Si umilia la voglia di vivere, si impongono norme igieniche sproporzionate, si programma la frustrazione sessuale, si procrea solo per via medica. Sesto. Propagare l'odio. Qui occorre un nemico, un fantasma da agitare in continuazione per giustificare misure d'emergenza, avere un capro espiatorio, deviare l'attenzione dalle responsabilità di chi governa. Settimo. Aspirare all'Impero. Ovvero indottrinare i bambini, gestire l'opposizione, governare assieme alla classe dirigente, ridurre in schiavitù in nome del progresso, dissimulare il potere. Si chiede Onfray: «Chi oserà dire che non siamo arrivati a questo punto?». Ognuno ripensi a cosa abbiamo vissuto in questi mesi e in questi giorni e dia la sua risposta.
Difficile però negare che Onfray indichi, come minimo, una degenerazione plausibile del sistema democratico in un regime dominato dall'alleanza tra tecnocrati e burocrati, tra grandissima industria assistita e classe politica.
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