Leone d'Oro al genio pop di Eno

L'artista ha inventato l'ambient e innovato tutti i generi, riscoprendo anche l'improvvisazione

Leone d'Oro al genio pop di Eno
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Impossibile fissare uno solo degli aspetti del lavoro di Brian Eno, al quale quest'anno viene conferito il Leone d'oro della Biennale Musica «per la sua ricerca sulla qualità, la bellezza e la diffusione del suono digitale e la sua concezione dello spazio acustico come strumento compositivo».

Per una volta il linguaggio delle motivazioni è pertinente e non retorico, chiarendo perfettamente la portata e lo spessore dell'artista che la direttrice della Biennale Musica Lucia Ronchetti ha meritatamente deciso di premiare: cerimonia il 21 ottobre in Ca' Giustinian e concerto la sera al Teatro la Fenice, dove Eno presenterà in prima esecuzione assoluta una commissione della Biennale, Ships per solisti e orchestra amplificata.

«Ships è un'espansione orchestrale e teatrale di un suo album del 2016, che immergerà il pubblico in una dimensione in cui l'hybris tecnologica incontra l'epilogo ecologico», come ha riassunto lo scrittore inglese Tom Service nel programma di sala della manifestazione (No One enO).

«Ispirate dal Titanic, le acque sonore di questa musica ci sommergeranno con l'impeto lento e ineluttabile delle correnti oceaniche più profonde, e ci avvolgeranno facendoci provare ciò che non abbiamo mai provato prima, per risvegliare una nuova consapevolezza nei nostri corpi in ascolto».

Cercare di riassumere le epifanie di Eno come compositore, produttore, vocalist è un'operazione quasi senza senso, avendo attraversato l'avanguardia e l'art-house, il post-punk e la no-wave, l'installazione l'ambient music; lui sembra essere già stato ovunque, dai paesaggi sonori che inventavano la Grecia arcaica in Sebastian di Derek Jarman all'Undicesimo millennio di Dune di David Lynch.

Anche se il suo nome, one, letto al contrario, significa unico, l'artista inglese è nessuno e centomila: «progetti digitali, innovazioni sociali e attivismo climatico, così come un corpus di scritti e interviste costituiscono una filosofia estetica e politica in continua evoluzione. Per non citare la sua influenza sulle centinaia di artisti di cui è stato partner, dai Roxy Music a David Bowie, ai Talking Heads, a Laurie Anderson.»

Suoi partner nel concerto a Venezia sono Kristian Järvi e la Baltic Sea orchestra, una formazione di musicisti scandinavi, baltici, polacchi, danesi e russi che suonano, danzano e cantano come una band e dove tutti diventano co-compositori, co-arrangiatori e co-direttori insieme al pubblico.

Non è un caso se un degli eroi di Kristian Järvi, il direttore d'orchestra estone che co-guiderà il concerto alla Fenice, cresciuto in una famiglia di illustri colleghi (il padre Neeme e il fratello Paavo), accanto ad Arvo Pärt sia proprio Eno: entrambi creano «mandala rifiorenti», in continua trasformazione, che non si fermano col tempo.

Decisiva e riconosciuta da Eno è stata l'influenza del compositore inglese Cornelius Cardew che in Paragraph 7 aveva affidato il testo di Confucio a cantanti, «ognuno dei quali attaccava su una nota di propria scelta, la ripeteva sulla base della durata del proprio fiato e poi si spostava verso un'altra nota che aveva sentito da un altro cantante. Quell'esperienza catalizzatrice spinse Eno a creare una pratica in cui il compositore non prescrivesse in modo assoluto le azioni degli esecutori ma si comportasse più come un collaboratore loro pari».

Il lavoro di Eno non è rivolto, come spesso accade nel panorama contemporaneo, ad una conventicola di specialisti, ma al contrario è indirizzato ad instillare domande ad un'enorme platea di ascoltatori, i quali prendono anche parte all'atto creativo/esecutivo, riconoscendo così «il nostro ascolto e la nostra attenzione come elementi essenziali dell'ambiente musicale».

Come ha ricordato Järvi, Brian Eno ha ispirato tutti ad un ritorno verso una semplicità svincolata dai miti occidentali del successo e del denaro, proprio coltivando una cooperazione/improvvisazione fra autore e musicisti che fosse un dono agli altri.

Con Eno si torna sempre ad una massima che ricorda Service: «la prassi creativa di Eno prende spunto di partenza omettendo quello che nessun altro ha pensato di escludere».

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