Fra Apollinaire, Picasso il Vate e Nuvolari... sparisce Monna Lisa

Nel romanzo di Luca Crovi il commissario De Vincenzi è alle prese col furto del dipinto

Fra Apollinaire, Picasso il Vate e Nuvolari... sparisce Monna Lisa
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Se anni prima Guillaume Apollinaire non avesse conosciuto lo strambo e misterioso Honoré Joseph Géry Pieret, probabilmente non sarebbe mai stato sospettato di essere il ladro della Gioconda. Pieret era uomo dall'oscuro passato: raccontava di avere vissuto per un po' in Brasile prima di stabilirsi a Parigi, ma nessuno aveva mai indagato su di lui. Un bel giorno si era presentato da Apollinaire con due strane sculture avvolte in un panno. Manufatti fenici molto antichi. Avevano un che di abbozzato e imperfetto e anche per questo attirarono prima l'attenzione di Apollinaire e poi quella del suo amico Pablo Picasso. L'uomo aveva sostenuto di averle trafugate al Louvre e lo stesso era successo con un altro prezioso manufatto, una maschera che Picasso aveva appeso in casa.

Apollinaire non aveva mai creduto al racconto dei vari furti, ma quando nell'agosto del 1911 Pieret aveva portato un'altra testa fenicia alla redazione del «Paris Journal» lui e Pablo Picasso si erano preoccupati. L'uomo aveva infatti dichiarato al giornale di aver trafugato l'opera al Louvre, per dimostrare la mancanza assoluta di sorveglianza nel museo, e che avesse fatto la stessa cosa già in passato. A questo proposito aveva citato anche le statuette fenice portate ad Apollinaire. Per tutta reazione, spaventati dalla possibile accusa di essere i mandanti dei vari furti, i due amici avevano deciso di far sparire le statuette in loro possesso. Si erano recati allora sulla Senna per gettarle nel fiume, ma la loro azione notturna era stata disturbata dalla presenza lungo i canali di una schiera variegata di personaggi: clochard, prostitute, malviventi e poliziotti in cerca di criminali. Apollinaire e Picasso arrivarono a pensare di lasciare i due oggetti nientemeno che davanti alla chiesa di Notre-Dame ma, sorpresi dall'ennesima ronda di flics, dovettero ripararsi nella sede del «Paris Journal», dove lavorava il loro amico André Salmon. L'idea era che sarebbe stato il giornale a restituire al Louvre, in forma anonima, le due statuette. Purtroppo la loro incursione in redazione comportò una segnalazione alla polizia. E così il 7 settembre 1911 Guillaume Apollinaire venne arrestato e portato a La Santé. La notizia si sparse ovunque e venne amplificata e deformata: « (...) l'individuo arrestato per complicità nel furto, in qualità di ricettatore, è di origine russa. Si chiama Guillaume Hostrowsky»; «Il ladro sarebbe un certo V. che ha già varcato la frontiera..»; «Pare confermato il fatto che ci sia una correlazione tra i diversi furti di statue fenice e la sparizione del dipinto la Gioconda...»; «Si ha l'impressione, presso il palazzo di Giustizia, che ci si trovi di fronte a una banda di ladri internazionali, arrivati in Francia per smantellare i nostri musei»...

Dopo l'arresto di Apollinare, Pablo Picasso sprofondò nella paura. Cosa poteva succedere a lui che era straniero in territorio francese se fosse stato accusato di complicità in furto? Lo avrebbero espulso? Non fece in tempo a darsi una risposta che all'alba sentì suonare il campanello di casa. Si presentò alla porta assonnato e malvestito. Il prefetto di polizia Louis Lépine lo guardava con occhi torvi, cercando di percepire quali fossero le sue emozioni. Gli disse di vestirsi e di seguirlo.

«Voi per ora non siete in arresto, il giudice istruttore Drioux vuole solo farvi alcune domande».

«Domande? E su cosa?»

«Seguitemi e basta».

Lépine, intanto, ordinò ai suoi agenti di perquisire la casa e lo studio dello spagnolo.

Ore dopo, portato davanti al giudice istruttore, Pablo Picasso ritrovò l'amico Apollinaire. Si abbracciarono e scoppiarono in lacrime. Rispondendo all'interrogatorio e raccontando le vicende che li avevano condotti fin lì si sentirono due perfetti idioti.

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