Le illuminazioni e i ricordi scorrono fra un bicchiere (di sakè) e l'altro

Arriva dal Giappone una antologia di racconti sul valore convivale e spirituale del bere: c'è chi lo fa con gli amici, chi in coppia, chi per puro piacere...

Le illuminazioni e i ricordi scorrono fra un bicchiere (di sakè) e l'altro
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L'anno scorso, dal Giappone giunse una notizia che si candidava a essere incoronata come la fake news delle fake news. Ma era tutto vero. Facciamo copia-incolla da Wired: «L'Agenzia delle entrate giapponese ha appena presentato un'iniziativa pensata per spingere sempre più persone, in particolare nella fascia d'età tra i 20 e i 39 anni, a consumare bevande alcoliche. Il progetto, denominato Sakè Viva!, è un concorso in cui ai giovani viene richiesto di proporre entro il 9 settembre progetti e iniziative promozionali che incentivino il consumo di alcol tra i coetanei, sia in bar e ristoranti sia in casa». Anche a Tokyo, quando si muove l'Agenzia delle entrate vuol dire che si muovono (o non si muovono) i soldi. Così in alto loco si è ritenuto opportuno ubriacare i ragazzini.

Sugli esiti di quella campagna promozionale, ammettiamo di non sapere nulla. Sappiamo invece che due anni fa in Giappone uscì una raccolta di racconti che in italiano fa Beviamo un altro bicchiere? e che ora possiamo sorseggiare anche da noi (Rizzoli, traduzione di Daniela Guarino, pagg. 287, euro 13,50). È un'antologia di storie sul valore conviviale, spirituale, generazionale e via dicendo del bere. E in effetti, leggendola verrebbe quasi da dare ragione al fisco nipponico: qui di under 30 che bevono forte non ne troviamo. Con una sola eccezione: il gruppo musicale del racconto Incontro di valutazione dei Canarini, di Koshigaya. Spiati e origliati in un locale dall'Autore, impegnato appunto a dare il suo contributo alla raccolta in oggetto, inizialmente bevono, sì, ma tutta roba analcolica, discutendo sulle cose che vanno e che non vanno della loro attività. Soltanto quando ormai Koshigaya, deluso, sta per andarsene, i ragazzi, venute a galla alcune questioni delicate, iniziano a bere sul serio, dicendosi tutto in faccia.

In L'acquario d'inverno di Kakuta due amanti dai tempi dell'università, varcata la soglia dei quarant'anni capiscono d'essere stati insieme, a dispetto dei rispettivi fidanzato e fidanzata, perché uniti da una sola cosa: il piacere del bere. È quello il bello di Moegara è un quadretto intimista di un tale al quale l'alcol non piace ma, tornato nella pensione dove il padre gli fece assaggiare per la prima volta la birra, ne beve una, e la trova piacevolissima, in memoria di papà. In A quel dito di Shimamoto un'infermiera flirta con un ceramista da lei in cura; un bicchiere di sakè, versato in una coppetta modellata dall'uomo, suggella il loro legame. In Cinemascope di Asakura protagonista è una bambina. No, lei non beve, per fortuna. Lo fa, in modo patologico, una sorta di megera sua vicina di casa. Terra, mare, aria. Il viaggiatore ubriaco di Hosoki è uno scarno vademecum su come e che cosa bere su treni, battelli e aerei. In Il bizzarro sakè del Guizhou di Koizumi l'erede di una famiglia di distillatori di sakè è in trasferta in Cina, alla ricerca del liquore perfetto. A tal punto perfetto da profumare d'incenso... le urine di chi lo beve. A proposito, La campana d'ottone di Erik di Kishimoto, si segnala soltanto per una reminiscenza anni '80, quando a Tokyo c'era «un elegante dining bar chiamato Cacca».

Il personaggio più simpatico fra tanti è la redattrice di una casa editrice la quale

non fa mistero dei propri gusti in tema di beveraggio in Il ritratto di Kannon che guarda in su di Kitamura. Finalmente qualcuno che beve non per dimenticare, né per ricordare, ma perché gli va. Prosit.

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