La leggenda rocambolesca di "Guillet l'Africano"

Amedeo Guillet, colui che più di chiunque altro può diventarne un simbolo in grado di costruire un immaginario rinnovato

La leggenda rocambolesca di "Guillet l'Africano"
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Soltanto alcune strade conducono all'eternità. Una di queste, da ora, - per volontà del sindaco della città di Palermo, Roberto Lagalla, e dell'assessore alla Cultura e Toponomastica Giampiero Cannella - porta il nome di Amedeo Guillet (1909-2010). Ufficiale di cavalleria, guerrigliero e diplomatico italiano, poco conosciuto al grande pubblico. Un piemontese di origine, fedele al proprio giuramento di militare verso la Corona dei Savoia, trova un posto nella storia di una città arabo-normanna, prima capitale del Regno delle Due Sicilie.
Sembra un paradosso, ma per chi conosce la sua biografia, già raccontata magistralmente dallo scrittore Vittorio Dan Segre, solo una terra che incrocia i destini mediterranei poteva aprire un solco nell'intera Penisola italiana.

Non a caso, soli quattro chilometri separano «Largo Amedeo Guillet» dalla Cattedrale di Palermo, dov'è custodita la tomba di Federico II di Svevia, seppellito col capo rivolto verso La Mecca. Vite parallele, quella del «Comandante Diavolo» e dell'Imperatore «Stupor Mundi» letteralmente a cavallo tra Oriente e Occidente: il primo in sella di «Sandor», un berbero grigio, il secondo su un baio purosangue saraceno chiamato «Dragone». Che a distanza di secoli, in qualche modo si incrociano.

Da poco, proprio l'ISMEO (Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l'Oriente) con il contributo del Ministero degli Esteri, ha pubblicato La mia tela yemenita: due volumi storico-politici firmati da «Amedeo», curati da Rosangela Barone e Alfredo Guillet.

Ci raccontano attraverso fotografie, memorie, lettere e testi inediti, la sua avventura ai confini del mondo, nelle sue molteplici uniformi.
Quasi trentenne, dall'Accademia di Modena, viene trasferito in Africa Orientale; impara l'arabo con i bambini delle scuole coraniche; conosce una donna di nome Kadija, figlia di un capotribù di cui si innamora; poi col tempo si converte all'Islam fino a farsi chiamare Ahmed Abdallah al Redai.

Quando l'Italia si arrende lui, decide di continuare a combattere contro gli inglesi tra l'Eritrea e l'Etiopia. Prende così il Comando del Gruppo Bande Amhara, un'organizzazione militare che riunisce uomini di origine etiope, eritrea e yemenita, con la quale compie azioni spettacolari di sabotaggio e di guerriglia. Viene ricercato con una taglia sulla testa dal suo rivale storico, l'ufficiale inglese Max Harari, scappa, si rifugia a Massaua e il suo nome, col passare dei giorni, diventa una vera e propria leggenda.

Si traveste da mendicante, fugge in Yemen dove rimarrà un po' di tempo: prima da carcerato, poi sotto la protezione del re, l'Imam Yahiah. Per rientrare infine in Italia, e verrà decorato al valore militare.

Monarchico fino al midollo, dopo una vita all'assalto, diverrà ambasciatore della Repubblica Italiana, prestando servizio in Africa, Medio Oriente ed Asia.

Amedeo Guillet, il nostro «Lawrence d'Africa».

Colui che più di chiunque altro, al tempo del «Piano Mattei», può diventarne un simbolo in grado di costruire un immaginario rinnovato. Con l'idea di costruire una grande comunità di destino euro-africano. Tutto questo partendo proprio da Palermo, che anziché farsi Sigillo, si fa Origine della Profezia.

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