Migliaia di persone ogni anno lasciano le coste africane in direzione dell’Italia. Sappiamo tutto di quel che accade una volta che sbarcano nel nostro Paese dai nostri assetti navali militari o dalle navi delle Ong, ma per comprendere il fenomeno migratorio nella sua complessità è necessario entrare in contatto con la piramide organizzativa dall’altra parte del Mediterraneo.
È stato questo il lungo, e non semplice, lavoro della giornalista Francesca Galici, diventato poi un libro: "L'invasione. Il lato oscuro del traffico di uomini sulla sponda opposta del Mediterraneo" (Giubilei Regnani), che tutti, a prescindere da ideologie e pensieri personali, dovrebbero leggere, per aprire un file diverso e inedito su come funziona questo traffico di esseri umani. Come racconta nella nostra intervista, per per scoprirlo ha passato mesi in contatto con "l'altra parte", con chi quelle barche, che si trasformano spesso in bare, ci ha messo piede e che a lei ha raccontato, con tanta paura, perché.
Tra lunghe telefonate, chat segrete, incontri non sempre sicuri, Galici si è districata in una fitta ragnatela fatta soprattutto di propaganda che mostra l'Italia come l'Eldorado, con personaggi collusi e trafficanti di esseri umani, scoprendo realtà dolorose, ma anche preoccupati.
L'intervista
Dopo averlo letto penso che il suo sia un libro molto coraggioso, ma mi chiedo anche perché ha deciso di scrivere qualcosa di così forte?
"Scrivendo da molto tempo di questi argomenti, ho maturato l'idea che anche se noi giornalisti siamo sempre molto informati su quello che succede sulle nostre coste, conosciamo poco 'dell'altra parte', e di quello che accade realmente in Africa prima di partire per l'Italia. Così ho voluto approfondire l'argomento. Il primo passo è stato capire come arrivare a quelle persone che mettono piede nei barconi lasciando tutto e rischiando la vita pur di partire".
Da dove ha iniziato?
"Ero certa che esistessero dei contatti via social, ma la parte complicata è stata entrare dentro quelle chat, conquistarmi la fiducia di chi era dall'altra parte. Ho passato mesi a chattare cercando di trovare una via, fino a che non ho scovato un gruppo privato che mi ha fatto entrare; e da lì si è aperto un mondo che non immaginavo esistesse. WhatsApp, Facebook, messaggi e molte altre modalità di contatto difficili da scoprire, che mi hanno raccontato cose incredibili che ho poi riportato sul libro".
Con chi è riuscita a parlare?
"Il cerchio man mano si è allargato. Ho avuto conversazioni con scafisti, con migranti, con persone che stavano per partire e anche con i parenti di chi nel Mediterraneo c'è morto. Ancora oggi sono in contatto con molti di loro, ed altri ancora mi cercano per chiedermi aiuto".
Come si è modificata la sua idea su questo fenomeno dopo quello che ha scoperto?
"Sicuramente è cambiata molto; che il fenomeno fosse fatto di sfruttamento e organizzazioni mafiose questo lo sapevamo tutti, ma dopo aver fatto questa inchiesta ho invece compreso profondamente fino a che punto può spingersi la cattiveria umana. È stato qualcosa di molto forte da assorbire e metabolizare, perché quando senti un marito implorare un mediatore di non stuprare la moglie, e questa è solo una delle cose, si capisce fino a che punto si può arrivare. Ho vissuto momenti particolari con bambini affidati agli scafisti e trafficanti di esseri umani. Qualcosa veramente di molto brutto".
Ha mai avuto paura o è stata minacciata?
"Minacce vere e proprie no, o almeno non voglio verderla in questo modo, però molte persone che hanno capito che ero una giornalista si sono 'risentite', per dirla in maniera tranquilla. Mi hanno detto che mi avrebbero cercata, che sapevano benissimo chi ero, ma per fortuna non è successo nulla e si è trattato di episodi sporadici. Però c'è stata anche l'altra parte della medaglia, per me molto dura da affrontare, perché chi non aveva paura di essere smascherato, ovvero i disperati che non avevano niente da perdere, quando hanno saputo che ero una giornalista mi hanno implorato di aiutarli ad arrivare in Italia. Questo è stato doloroso".
Molte delle zone da dove partono i migranti non sono di guerra, perché la gente vuole comunque fuggire e venire in Italia?
"Loro ti dicono: 'per avere una vita migliore'. Nessuno di quelli che ho sentito mi hanno detto che stavano scappando dalla guerra. Dicono invece che in Italia si guadagnano tanti soldi e per questo loro vogliono venire. Sono convinti che da noi lo stipendio base sia di duemila euro, perché è questo che la propaganda gli fa credere. È un sistema molto radicato che fa leva soprattutto su due fattori, il primo quello delle minacce alla famiglia: 'Se non parti sei un fallito e la tua famiglia morirà' e il secondo è quello di poter guadagnare nel nostro Paese moltissimi soldi".
Si è fatta un'idea precisa sul perché ci sia questo tipo di propaganda?
"Per lo stesso motivo che porta molti dei migranti a partire, i soldi. Il trafficante ha interesse solo per quelli, più gente parte più lui guadagna".
Ha trovato connessioni tra i trafficanti e i governi locali?
"Non in particolare, hanno piuttosto parlato della polizia locale che a fronte di mazzette chiude gli occhi, ma collegamenti diretti con le autorità locali no".
Dopo questo lungo lavoro si è fatta un'idea di quale potrebbe essere una soluzione a questo fenomeno?
"Le vie possibili sono due quella del blocco totale degli arrivi e del lavoro di diplomazia e collaborazione con i governi in Libia, Tunisia ed Egitto, sia come deterrenza proprio perché sapendo questo sono meno incentivati a partire, ma anche come blocco, perchè se fermi le partenze direttamente in Tunisia, rischi molti meno morti in mare".
Oltre al puro interesse economico degli scafisti, c'è anche quello criminale?
"In mezzo a tanti disperati partono molti criminali dall'Africa e questa è una cosa che mi hanno confessato molte delle persone con cui ho parlato. Loro li chiamano 'i mercenari' sono persone che fanno parte di bande pericolose che vogliono ampliare i loro commerci. Se quindi si bloccano direttamente le partenze e si limita il flusso, allo stesso modo si ferma anche questo tipo di pericolo".
Per quanto riguarda invece il terrorismo, in questo periodo un argomento di grande attualità.
"In modo esplicito nessuno me ne ha parlato, ma nella propaganda c'è tanta spinta religiosa alla guerra santa. C'è una terminologia precisa che viene usata che fa comunque pensare a secondi fini. Ad esempio i migranti tra di loro si chiamano 'soldati' dicono che ogni convoglio che parte è 'una battaglia' e se riescono ad arrivare in Sicilia o comunque a Lampedusa è 'una vittoria contro i bianchi'. Quindi non è che esplicitamente si parli di terrorismo ma c'è comunque questa forte spinta religiosa nella propaganda".
Nessuno dei migranti giunte nel nostro Paese comunica dall'altra che le cose non sono come le fa credere la propaganda?
"Ovviamente ci sono
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.