Forse Giuseppe Prezzolini potrebbe davvero essere preso come modello da una destra conservatrice. A patto di leggerlo tutto, come raccomanda Anacleto Verrecchia nella Premessa di Giuseppe Prezzolini. L'eretico dello spirito italiano (Luni editrice, pagg. 160, euro 20). Il libro nasce da dodici anni di incontri amichevoli tra il Maestro («per carità non mi chiami così, è un epiteto consumato dai servili italiani») e Verrecchia: filosofo, germanista, giornalista e diplomatico.
Si diceva: Prezzolini bisogna prenderlo tutto, e non a tranci. Ecco alcuni bocconi spesso «dimenticati» dai suoi ammiratori. Non si può essere prezzoliniani e statalisti. Tra i principi intoccabili, lo scrittore mette al primo posto la proprietà privata. Lo Stato deve essere forte ma anche minimo: «dovrebbe limitarsi a provvedere, in modo tecnico perfetto, la sicurezza dell'indipendenza nazionale, le comunicazioni rapide e a buon mercato, l'igiene necessaria alla salute della popolazione, la scuola che sa scegliere i migliori, una vecchiaia non questuante, la cura delle malattie gratuite; e soprattutto dovrebbe offrire un corpo di giudici imparziali, un codice di leggi chiare, una esecuzione della giustizia rapida e poco costosa per tutti ed una stabilità che permetta ai cittadini di provvedere al futuro con una certa sicurezza». È un passo del Manifesto dei conservatori che fa da sfondo a molte chiacchierate tra Prezzolini e Verrecchia. Lo scrittore va anche oltre e dice a Verrecchia che lo Stato indubbiamente è utile perché l'uomo è ingiusto ma è anche triste che sia necessario. In una società utopica, gli uomini trovano da sé i valori intorno ai quali costruire la convivenza. Come emerge bene dal libro di Verrecchia, il conservatorismo di Prezzolini non ha nulla di bigotto. Non si fonda sulla convinzione che il nuovo sia sempre sbagliato. Ma certamente non tutte le novità sono buone perché... nuove. Il progressista è l'uomo del domani. Il conservatore invece è l'uomo del dopodomani: fa progetti a lungo termine fondati su valori senza scadenza.
Il rapporto col fascismo è presto detto. Prezzolini non ebbe nulla dal regime, anzi. Si auto-esiliò in America e insegnò alla Columbia, a New York. Ecco. Ci sono aspetti di Prezzolini quasi sconosciuti al grande pubblico. Chi ricorda le sue opere pionieristiche sulla letteratura degli italiani immigrati in America? Non sono solo importanti. Sono una buona base di partenza per riflettere in modo non becero sull'immigrazione e sul contributo che gli immigrati possono (o non possono) dare alla cultura dei Paesi d'arrivo.
Un altro aspetto è preminente nel libro di Verrecchia. Prezzolini chiaramente si preoccupa di un tema molto attuale. La cultura di destra, per affermarsi, deve essere intrigante, convincere il lettore di essere parte di un'avventura. Prezzolini detesta la retorica di chi copre di polvere l'arte, la letteratura, la poesia. Del resto, proprio lui aveva mostrato come si doveva fare, con la fondazione della rivista più influente della prima metà del Novecento e anche oltre, La Voce.
È impensabile che tutto venga fatto dall'alto. I politici devono imparare ad ascoltare (e finanziare) le idee che vengono dalla società, dall'industria, dall'editoria. Lascino fare le mostre e i saloni a chi ne è capace...- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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