"Non sarà una lezione su Dio, non sono una teologa; non sarà una lezione sul sapere, non sono una filosofa. Non sono neanche un’educatrice cinofila. Non so bene cosa sono, in verità, ma mi è sembrato di scorgere la Vita nella vita grazie alla presenza di un cane, e mi pare giusto condividerlo con voi", così inizia "Storia di un cane che parla di Dio- Ruth, la mia guida spirituale" (Piemme), il libro della psicologa e missionaria Marta Monfrinotti. Una vera boccata d'aria, il "raggio di luce" che arriva al momento giusto a sollevare lo spirito nelle nostre vite sempre più frenetiche.
Lo fa grazie ad una cagnolina, Ruth, che senza parlare, le insegna le meraviglie della vita. Un incontro casuale, come spesso accada con un animale, o forse un messaggero, che all'inizio è quasi un problema che diventa invece un'opportunità di vita, per scoprire la felicità nelle piccole cose, quelle che Ruth mostra a Marta. Nelle pagine, che sono quasi una carezza per l'anima, Ruth e Marta indicano al lettore la strada verso un’autentica e duratura felicità, con una serie di lezioni sull’esistenza, sulle relazioni e sul rapporto con Dio, come racconta la scrittrice nella nostra intervista.
Le vie per incontrare la fede, quella profonda che si sente nel profondo del cuore, possono essere tante, lei l’ha trovata grazie ad un cane?
"L’incontro con la fede è arrivato a 17 anni. In modo del tutto casuale mi ritrovai a frequentare lo spazio esterno di una chiesa e là incontrai un frate francescano, fra Luca, che mi accompagnò alla conoscenza e all’esperienza di fede e ad un incontro autentico con il Padre. Il mio percorso lo definisco un po' di risalita, perché a 17 anni, ero un po' affaticata da alcune esperienze vissute. Credo che, verso i 25 anni, potevo definirmi a livello di un'isola nel mare: "riemersa".
In quegli anni, ci furono tantissime esperienze che mi accompagnarono a conoscere sempre di più la persona di questo Dio, ero affascinata, coinvolta. Lo avevo incontrato. Una cosa incredibile, un Dio di 'carne' che parla nella quotidianità e che ti rapisce tutta. Per me era quella la verità, la mia esperienza. Eppure, crescendo, cambiando, facendo svariate esperienze con diversi movimenti cristiani e, soprattutto, incontrando persone con diverse “verità”, ho sentito chiara che la mia posizione non era così certa e si è aperto un varco, direi a tratti anche una liberazione, un allargamento.
Questi passaggi sono stati graduali. Quando arrivò Ruth, forse, c’è stata proprio la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. In quel periodo frequentavo molte persone con spiritualità diverse, con sensibilità diverse, un amico sacerdote illuminato, una suora che mi accompagnava nel cammino. Da tutte queste spinte ricevevo due medesimi messaggi: respira e stai in relazione. Facile a dirsi, ma farlo è veramente tosta, non si spiega con facilità tutto questo. E qualcosa è accaduto.
Ho respirato e con forza e prepotenza il mio punto di vista si è come allargato, ho iniziato a stare, a respirare, a guardarmi, a sentirmi. Ruth fu compagna fedele, Ruth fu relazione che mi portò in un punto in cui o facevo il salto o, tra noi, difficilmente avrebbe funzionato nel benessere di entrambi. Io ho fatto il salto e meravigliosamente ho scoperto che là, anche di là, il Padre benediceva e mi accompagnava. Oggi che ho 40 anni e Ruth è con me da 11 anni, forse mi sento liberata da alcune rigidità e chiusure che magari all’inizio sono state anche loro passaggi virtuosi e forse necessari. Oggi, nel mio percorso di fede ho scelto, mi sembra, di essere onesta con ciò che provo per l’altro vivente e non con ciò che è giusto".
In cosa l'arrivo di Ruth l'ha realmente cambiata?
"Il caos. Quel periodo ero presissima, pochi giorni dopo avevo in programma un viaggio in Piemonte per incontrare la mia guida spirituale. In generale tornavo sfinita a casa dopo la giornata lavorativa e inoltre mi dovevo occupare della cucciolotta. Uno scompiglio fuori e dentro! Ero molto focalizzata su di lei, forse troppo. Quando andavo a lavoro, lasciarla, mi faceva malissimo. In quel periodo ero anche nel pieno di una psicoterapia e analizzavo, tra le tante relazioni, anche quella con lei, e di come il nostro rapporto si stava formando. Insomma, un momento di grandi sollecitazioni".
Lei e Ruth siete forse l’esempio più calzante che le "azioni" valgono più di mille parole?
"Non so, ci sono tempi per le parole e tempi per le azioni. Ho avuto un lungo tempo di parole, ascoltate e dette. E andava bene così. Poi sì, quando non si può particolarmente “parlare” con il tuo compagno di avventure, le azioni e i gesti diventano importanti. Ma tutto è importante, parole ed azioni. Per me, ad un certo punto, nacque una sorta di stanchezza per le parole e necessitavo di azioni, di concretezza. Sono passaggi sicuramente soggettivi e personali".
L’incontro con Ruth e i vostri iniziali "muri" sono stati la fatica necessaria per scalare una montagna che l’ha portata su una vetta che mai avrebbe pensato di raggiungere? Le è servita anche questa parte non così semplice?
"Non sono sicura di aver raggiunto la vetta. Molto raramente mi sento così se per vetta intendiamo pace e serenità, raggiungimento. Io sono inquieta. Però sì è pur vero che di scalate ne ho fatte diverse, come penso ognuno di noi. Credo che tutto serva nella vita, credo che a volte non sia tanto l’esperienza di per sé che viviamo, ma il senso che riusciamo a darle. Ci sono stati tanti muri, ci sono state tante vette, come ci sono stati tanti sentieri anonimi, discese e dirupi. La vita alle volte cambia in fretta, come in cima ad una montagna, quando il cielo si fa nero, magari è più faticoso, affaticante, stressante, doloroso. Ma anche questa è vita. Tutto è vita".
"Imparare dalle piccole cose" è il più delle volte un modo di dire, non sono vere e proprie azioni che si compiono. Quali sono state invece le cose che Ruth le ha fatto “vedere” e che in lei hanno compiuto un miracolo?
"Questa non è una domanda facile. Rispondo con una controdomanda: se non fosse stata Ruth avrei vissuto le stesse cose? Io non sono certa che Ruth abbia vissuto quello che io ho scritto di lei, dovremmo chiederlo a lei! Ma ecco, sono certa che senza di lei alcuni passaggi non ci sarebbero stati in me e così alcune riflessioni perché lei ha portato dei contenuti soggettivi, unici, personali. Inserendomi nella vita di Ruth e nei suoi bisogni, ho scoperto che molti di questi erano anche miei. E fermarmi in cima ad un colle ad annusare l’aria e a guardare l’orizzonte, ecco questo è un miracolo. Come miracolo, magari, è cercare un dialogo autentico, è dirci come stiamo per davvero, è il coraggio di continuare a provare. Non so, io ho stimato Ruth in alcuni sui comportamenti o atteggiamenti e ho cercato di farli miei. Forse il miracolo è restare connessi, forse è riuscire a restare aperti e in relazione con l’altro diverso da me e amarlo così come è. Magari il miracolo è partire da noi".
Perché Ruth e tutte le altre creature come lei non sono semplicemente cani o semplicemente animali?
"E noi? Siamo semplicemente uomini, no? Cioè, vivendo provo a ridurre la distanza che noi umani abbiamo messo con il restante mondo vivente, come se noi non fossimo formati con la stessa pasta, come se noi non fossimo animali! Eppure, in questo “semplicemente” si annida una bellezza disarmante nell’uomo e in tutto il creato. Maria Teresa, una mia cara amica, mi ha detto un giorno: ci possiamo scandalizzare e soffrire per il dolore dell’uomo e al contempo per il dolore degli altri viventi. Non tolgo niente a nessuno. Tutti i viventi portano una soggettività. Perché il punto di vista dell’uomo dovrebbe per forza essere quello più viruoso? Poi, stare in relazione con tutte le soggettività è molto difficile, forse impossibile, almeno per me".
Cosa secondo lei Dio le ha voluto insegnare con questa compagna pelosetta che lei non aveva capito?
"Che forse, anche per una come me, c’è una possibilità di crescita, di cambiamento e di sentirsi amabile".
Tutti parlano del suo libro come un raggio di luce che arriva ad illuminare parti profonde dell’essere, lei scrivendolo cosa ha vissuto?
"Ho scritto questo libro, almeno la parte più corposa e senza troppe correzioni, in 15 giorni. Scriverlo per me era un’esigenza, un bisogno emotivo, credo. Oggi mi chiedo se sia stato un gesto simbolico, un salto, un manifesto del mio percorso di fede e quindi di relazione. Volevo scrivere un libro su Ruth e su quanto ho sentito mi abbia donato. Il primo capitolo per me è un poco la svolta, quando ne parlo solitamente mi commuovo: un po' per la sofferenza che le ho fatto passare e un po' perché la mia Ruth ha raggiunto gli angoli più bui di me ed è restata.
Non so dire se è così che fanno tutti i cani, ma lei è restata, io ho sentito questo. Ha creduto che potessi farcela a fare un cambiamento, ha creduto che potessi cambiare. Magari è stato tutto e solo un trip! Ma una cosa ci tengo a dire: se tu, lettore, leggerai il testo e vivrai anche solo un 'friccico' leggero o un rapimento o un qualcosa che dentro risuona, ecco, quella roba non è la mia, è la tua. E allora poi scegli, se seguirla o lasciarla là. Va bene ugualmente, ma è la tua".
Cosa fa decidere una ragazza di lasciare la sua casa e partire come missionario. Gli altri spesso la vedono come una pazzia anche pericolosa lei come l’ha vista, ha mai avuto paura?
"Io vivo di milioni di paure. Non sono mai sicura di niente e vivo di profonde contraddizioni. Ma a 18 anni da poco compiuti non avevo paura, quello no. Ero nella fase della sfida quindi un viaggio in Kazakhstan era una gita fuori porta per me. Poi non sono partita in solitaria, ma con un gruppo di amici. I periodi di stazionamento in Kazakhstan non erano particolarmente lunghi, ma ci tornai per tanti anni, circa 7, 8, non ricordo di preciso. Il primo viaggio avvenne un po' per caso sempre grazie a fra Luca: lui mi disse che andava in Kazakhstan e io gli ho detto: 'ah, dai, vengo anche io'. Poi avevo finito il liceo e non sapevo cosa fare della vita, dove sbattere la testa e il Kazakhstan mi sembrava un’ottima idea".
Lei oltre ad essere una psicoterapeuta sta anche studiando per diventare conduttrice di "forest bathing" di cosa si tratta?
"È una disciplina che viene dal Giappone e ormai diffusa in tantissime parti del mondo. È anche chiamata immersioni in foresta, bagni di foresta, shinrin-yoku. In Italia ci sono diverse scuole che ti sostengono alla formazione, io casualmente, mi sono iscritta ad un corso specifico per psicologi della TeFFIt ed è stata una scoperta incredibile. Questa Associazione opera muovendosi su fondamenti scientifici e protocolli sanitari, ha un registro conduttori sparsi in tutta Italia che durante l’anno sono chiamati a mantenersi aggiornati. Le attività che propone TeFFIt per le immersioni, di per sé, sono semplici e rispettose, il tutto, molto sinteticamente, si basa sul fatto che stare in apertura sensoriale in contesti di foresta fa bene, perché ancora siamo profondamente legati alla natura che, fino a prova contraria, è la nostra natura!
Ci sono tantissimi studi e ricerche a suggello del benessere che si sperimenta a tal punto che, in alcuni Paesi, sono state inserite le prescrizioni verdi. L’approccio della TeFFIt mi ha colpito tantissimo, nuovamente mi sono ritrovata in un luogo di formazione dove l’essenziale è la relazione, quindi sì, l’apertura sensoriale è propedeutica e assolutamente necessaria, ma l’esperienza relazionale va ricercata, coadiuvata, facilitata. Mi è piaciuto molto. Pensare di entrare in una Foresta e, se 'in apertura', ciò che accade nei miei vissuti, pensieri non dipende solo da me ma da tutto ciò che è vivente intorno a me e viceversa. Incredibile. Ora il corso è ultimato, già sto iniziando a fare piccole esperienze. È stata un’esperienza veramente significativa".
La ricerca della felicità è una strada sempre più battuta in un mondo fatto di dolore, le chiedo da dove si parte e quanto, se non ci fosse stata Ruth, sarebbe riuscita a percorrerla?
"Non so come sarebbe stata la mia vita senza Ruth. Credo che ad alcune domande non abbiamo risposte definite e certe, ma solo sensazioni. La mia sensazione è no, non avrei vissuto le stesse cose. Io mi sento molto piccola davanti al mondo e al suo dolore e alle sue profonde ingiustizie. Forse anche per deformazione professionale, tendo a posare lo sguardo sulla persona e mi chiedo spesso cosa io possa fare, nel mio piccolo, partendo da me. Si può pensare che sia la solita vecchia storia, ma io credo che un cambiamento possa partire solo da ciò che realmente si può cambiare e, alla fine deo giochi io posso cambiare me stessa.
Alle volte si compiranno gesti grandi, altre volte minuscoli, altre volte non riusciremo a fare neanche il gesto ma solo a desiderarlo. Mi sembra di capire che la vita sia un poco questo, una ricorsività di eventi che toccano, lasciano segni, feriscono, ci fanno gioire, ci entusiasmano. Tutto è vita. Poi scrivere filosofeggiando è una cosa, vivere è un’altra. Io provo a farlo con coerenza. Credo che una delle cose importanti che spero emerga anche dal libro sia: stiamo in relazione perché là qualcosa di bello e di eterno può accadere.
Poi che questa relazione sia con Dio, il cane, le persone, un faggio o un giovane peccio.. beh.. non credo che sia di valore inferiore, è comunque apertura. Dove c’è apertura c’è luce, aria, ossigeno. Forse sì, relazione e gratitudine possono fare la differenza per un vissuto di bellezza".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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