"Vi racconto una strage fra gossip, autovelox e violenza nascosta"

Un giovane si dà fuoco in chiesa e uccide 25 fedeli. L’autore: «Indago gli effetti della tragedia»

"Vi racconto una strage fra gossip, autovelox e violenza nascosta"

Michael Bible vive a New IYork ma è nato e cresciuto in North Carolina, in un paesino molto simile a Harmony, la cittadina dove è ambientato L’ultima cosa bella sulla faccia della terra (Adelphi, pagg.136, euro 16). Al centro del romanzo, che il giovane scrittore presenterà in Italia aPordenonelegge venerdì 15 settembre (ore 19, Auditorium Vendramini), c’è una tragedia: siamo nel 2000 quando, durante la messa alla Prima chiesa battista, un ragazzo di nome Iggy si porta al centro della navata con una tanica di benzina, la rovescia e accende un fiammifero. I morti sono 25. Lui sopravvive. La sua dal braccio della morte - è una delle voci narranti del libro.

Si è ispirato a un fatto reale?
«Nel mio paesino non è accaduto nulla del genere ma, negli Stati Uniti, tragedie simili succedono ogni settimana, perfino ogni giorno. Ed è questo che mi ha ispirato».

Che luogo è Harmony?
«È una cittadina lungo la strada verso altre mete. Il paesino in cui sono cresciuto era noto per l’autovelox... Harmony è così, una città autostradale. Piena di pettegolezzi e di religione. Sotto la superficie, però, c’è una violenza profonda, un’oscurità che resta largamente ignorata dai suoi abitanti».

Perché ha voluto parlare di una strage?
«Da giornalista, anni fa, ero interessato a queste storie, ma non nel loro aspetto sensazionalistico: quello che mi attirava era capire che cosa fosse successo alle persone coinvolte, con il passare del tempo. Ho cercato di indagarlo attraverso il microscopio del romanzo».

C’è una pluralità di voci in momenti diversi. Perché?
«È stata una soluzione pratica, perché stavo scrivendo proprio di come lo stesso evento influenzi persone diverse. Ma sono stato anche ispirato dalle opere di William Faulkner e Virginia Woolf: volevo provare alcune delle loro tecniche in un romanzo breve».

Come mai?
«È un genere che amo molto. Alcuni dei miei romanzi preferiti sono brevi, come Invito a nozze di Carson McCullers, Una solitudine troppo rumorosa di Bohumil Hrabal, o Lo straniero di Camus. Volevo che il libro potesse essere finito in una, due volte al massimo».
La violenza è dominante.
«Purtroppo la violenza è una specie di stile di vita in America, che dobbiamo affrontare quotidianamente.
Non ne sono attratto, odio la sua spettacolarizzazione e sono contro la pena di morte. Ma, in particolare nel Sud degli Usa, è qualcosa che era ed è rimasto con noi».

Perché il fuoco?
«Iggy è “ispirato” da quei monaci che, per protesta, si erano dati fuoco in Vietnam. Ovviamente si tratta di una cosa ben diversa ma, per me, c’è qualcosa di molto potente, anche con connotazioni religiose, nell’idea di consumare nel fuoco sé stessi e uccidere gli altri».

Quanto contano i riferimenti religiosi nel libro?
«Il linguaggio della Bibbia è ovunque, nella mia scrittura. La Bibbia è stato il mio primo incontro con il linguaggio poetico ed è in tutto ciò che scrivo. Sono cresciuto nel Sud, dove la religione è pervasiva quanto la violenza. Sono nato in una famiglia religiosa e ho frequentato una scuola religiosa; oggi non pratico più, ma volevo esplorare la complessità della fede».

Che cos’è «la Costante» che, secondo Iggy, lo perseguita?
«È una astrazione, una specie di terrore continuo, un’oscurità sotto le cose, da cui è ossessionato».
Dopo anni, le persone si chiedono ancora come distinguere tra Iggy, il compagno di scuola, e Iggy, l’assassino.
«Uno dei miei interessi principali era proprio osservare come il tempo cambi, o non cambi, il modo in cui le persone considerano una tragedia e quello che ha fatto a loro. Come questo fenomeno operi a livello del singolo e di una città intera. Queste persone, che erano a scuola con Iggy, anni dopo sono ancora ossessionate dal fatto che non si fossero accorte di ciò che stava per accadere. Così cercano di ricordare, in modo da riconciliarsi con il loro senso di colpa per non avere fermato Iggy».

Ci riescono?
«Non possono cambiare ciò che è successo, ma possono cercare di comprenderlo. Però, alla fine del libro, Iggy rimane una domanda aperta. È molte cose: un classico adolescente, alienato e annoiato. Ma, anche, un ragazzo abbandonato dalla società, preda degli adulti che avrebbero dovuto proteggerlo e costretto a finire nella droga e nella disperazione. La sua via d’uscita è un drammatico atto di violenza verso di sé che finisce per riversarsi su tutti gli altri».

Qual è la cosa peggiore in una tragedia del genere?
«La morte insensata è sempre terribile. È questa la cosa peggiore. Ma tutto è assurdo e, per me, il ruolo dei politici americani è una delle parti più disgustose. Pensieri e preghiere.
Mano nella mano. Discorsi. E poi niente. La sofferenza non se ne va via quando le telecamere si spengono.
Appena i politici tornano a Washington, alle persone resta solo il loro dolore. E questo dolore diventa parte di loro. Ecco, nel libro volevo soffermarmi proprio su queste persone, in quella città, attraverso gli anni».

Il titolo originale è The Ancient Hours: a che cosa si riferisce?
«Credo al mio interesse per il tempo: come esso cambi certe cose e ne lasci altre immutate. E poi c’è una caratteristica della luce, nel Sud, che fa sembrare una stanza più antica di quanto non sia. La polvere che galleggia attraverso di essa, la luce morbida, un sentiero dorato verso la finestra. Pensavo a quei momenti come a ore antiche. Ma amo anche il titolo in italiano».

Essere del Sud ha influenzato la sua scrittura?
«Sicuramente, se non altro perché abbiamo una tradizione narrativa forte.

Raccontare storie è, per noi, una specie di moneta corrente. Può diventare quasi una competizione. Detto ciò, non mi identifico come scrittore del Sud o americano: le storie dovrebbero cercare di superare linguaggi e confini».

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