Un appello che arriva da Barcellona. A difesa del centro sociale Leoncavallo su cui pende domani, data dell'accesso dell'ufficiale giudiziario per l'ennessimo sgombero, una spada di Damocle sempre più affilata e tagliente. Ada Colau, ex sindaco di Barcellona, in visita in via Watteau per La terra trema, la manifestazione indipendente di vignaioli fondata da Luigi Veronelli lancia un appello alle istituzioni perchè trovino una soluzione alternativa allo sgombero. «Sono Ada Colau sono molto felice di parlarvi qui al Leoncavallo - racconta in un reel su Instagram- ma sono anche molto preoccupata perchè ho saputo che questo spazio che so essere molto amato, e che è uno spazio pubblico autogestito di riferimento di tutta l'Europa, è minacciato dello sgombero. Mi sembra che una città come Milano non possa prescindere da uno spazio come questo: inviterei l'amministrazione e tutte le istituzioni a sedersi per risolvere la situazione. Insisto: è molto difficile avere degli spazi come questi gestiti dal sociale, che hanno tantissimo da dare al territorio e per il futuro della città. Speriamo che non ci sia lo sgombero».
Anche sul sito del Leo campeggia a caratteri cubitali l'invito a «difendere i luoghi del pensiero critico, della solidarietà e della cultura condivisa: ci ritroviamo il 10 dicembre alle 9 per opporci allo sfratto del Leoncavallo, di tutti i collettivi che lo animano e dell'associazione Mamme Antifasciste. Non fermarti a dei semplici like e repost sui social, martedì occorre essere tutt* fisicamente al Leoncavallo!»
Cosa c'è di diverso dal solito? Intendiamoci: sono 101 i procedimenti di sfratto intentati in meno di vent'anni, ma la sentenza del 9 ottobre della Corte d'Appello del Tribunale Civile di Milano, che ha condannato il ministero dell'Interno a pagare oltre tre milioni di euro alla società «L'Orologio srl» del gruppo Cabassi, pesa come un macigno. Secondo i giudici, il Viminale è colpevole di non aver eseguito lo sgombero per oltre diciannove anni e pertanto è tenuto a risarcire il danno al privato, i Cabassi appunto.
Sono tre le opzioni sul piatto: il ricorso in Cassazione, un accordo tra le parti e l'effettiva esecuzione dello sgombero. Il 27 novembre il sindaco Beppe Sala ha annunciato la sua intenzione di trovare una soluzione: «Se il prefetto ci chiamasse al tavolo per ricominciare a discutere, certamente ci siamo». Della regolarizzazione del Leoncavallo si era parlato con la giunta Pisapia quando era stato ipotizzato uno scambio di aree tra il Comune e i Cabassi: Palazzo Marino avrebbe ceduto una palazzina in via Trivulzio e l'ex scuola in via Zama in cambio dell'ex cartiera. Ma non se n'era fatto niente per l'ostruzionismo in consiglio comunale dal centrodestra con la «complicità» dell'allora presidente del consiglio comunale Basilio Rizzo. Ora sembra che un accordo tra Leoncavallo e Cabassi in quei termini, non sia più possibile, l'idea sarebbe quella di dare un altro spazio ai Leoncavallini in maniera regolare per potere restiuire la cartiera ai legittimi proprietari, ma sembra che al momento, oltre alle buone intenzioni, no sia stata ancora individuato nessun edificio abbandonato e di proprietà demaniale.
«Da anni ci battiamo per una regolarizzazione degli spazi: la legalità permetterebbe di accedere a finanziamenti pubblici per progetti e iniziative varie» spiegava Daniele Farina, esponente di Sinistra Italiana e storico attivista del Leo.
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