Vite ricucite

Arriva un giorno, nella vita di quasi tutti i bambini adottati, in cui scatta un istinto rimasto silenzioso per anni. E allora accendono il computer e digitano su Google il nome di una persona, di un luogo, di un istituto

Vite ricucite

Arriva un giorno, nella vita di quasi tutti i bambini adottati, in cui scatta un istinto rimasto silenzioso per anni. E allora accendono il computer e digitano su Google il nome di una persona, di un luogo, di un istituto. È la timida e confusa ricerca delle proprie origini. Quel desiderio, eccitante e terrificante, di scoprire chi sono i genitori biologici, se ci sono fratelli e sorelle, dove sono i parenti «veri». Non significa che nella famiglia adottiva stanno male. È semplicemente un bisogno naturale di risolvere i perché sull'abbandono, cercando di colmare un vuoto rimasto senza risposte.

A volte la ricerca si risolve in nulla, altre va avanti e si traduce in una richiesta formale dei documenti al Tribunale dei minori (che si può presentare solo una volta compiuti i 25 anni). La speranza è sempre quella di grandi finali stile Maria De Filippi, purtroppo la realtà racconta di storie ben diverse, spesso molto amare.

In base ai dati raccolti dall'Istituto degli Innocenti di Firenze, le istanze aperte dai tribunali dei minori tra il 2012 e il 2017 sono 1.496 (con picchi di richieste in Piemonte, a Napoli, Venezia e Genova) e sono tra i 400 e i 450 all'anno gli ex bambini che iniziano la ricerca della famiglia di origine, più di uno al giorno. Inutile dire che quelli che la avviano solo ufficiosamente su Facebook e social vari sono molti di più.

LA LEGGE

Ma non tutti hanno lo stesso percorso. A differenza dei bambini riconosciuti alla nascita, e in seguito adottati, ai figli nati da un parto in anonimato l'attuale ordinamento italiano non consente di accedere all'identità dei propri genitori biologici. Di fatto, viene considerato prevalente il diritto alla segretezza della donna che ha partorito rispetto all'interesse del figlio di conoscerne il nome.

In questi anni però i tribunali dei minorenni sono intervenuti e hanno stabilito che anche i figli nati da parto segreto, al compimento del 25esimo anno di età (per gravi e comprovati motivi attinenti alla salute psico-fisica dell'adottato bastano 18 anni), possono far pervenire alla madre una richiesta per sapere se vuole continuare a rimanere sconosciuta. Sta poi a lei scegliere se svelare il suo nome e conoscere il figlio non voluto oppure continuare a restare nell'anonimato.

Ma in mancanza di una legge che disciplini la materia, senza un protocollo univoco da seguire, i tempi e le modalità variano da città a città. Ecco perché sempre di più internet e i social sono diventati il mezzo per riuscire a trovare risposte alle tante domande sulla propria origine.

«La normativa è indietro rispetto alla realtà dei fatti. La legge non dice nulla sui bambini nati da parti segreti - spiega Raffaella Pregliasco, ricercatrice dell'Istituto degli Innocenti e giudice onorario al Tribunale dei minori di Firenze - Dice solo che devono passare cento anni prima che si possa svelare l'identità della madre che ha scelto di partorire in modo anonimo. Il realtà dal 2013 la giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale dice che è contro la Costituzione rifiutare la richiesta di un figlio che vuole conoscere le proprie origini. Da lì inizia un percorso molto delicato. Chi lo comincia è bene che si faccia affiancare dalle persone giuste. In ballo ci sono sentimenti e aspettative particolari, ci sono proiezioni mentali che per anni gli ex bambini si sono costruiti in testa e che spesso si scontrano con realtà ben diverse». A Firenze, a Torino e in varie città sono disponibili degli sportelli che offrono assistenza e che cercano di colmare quel vuoto assistenziale all'interno di molti tribunali dei minori, dove non esiste alcuna struttura dedicata.

LA RICERCA SUI SOCIAL

Tante volte risulta più snello e praticabile il fai da te, per via privata. Lo sa bene Laura Perspicace a cui si sono rivolte centinaia di persone. Lei è una scrittrice catanese che nel 2008, quando è nato Facebook, ha creato un gruppo on line per aiutare sua madre, adottata, a fare chiarezza sul suo passato. Lo ha chiamato «Figli adottivi cercano genitori biologici». Da lì le è piombata addosso un'autentica pioggia di richieste da tutta Italia e da ogni parte del mondo: Russia, Romania, Brasile, Polonia. In breve tempo è nata una rete di solidarietà immensa e gratuita. «Andiamo avanti solo grazie alle donazioni» spiega Perspicace, che nel 2017 ha anche aperto un sito. «Purtroppo - racconta la fondatrice della rete - a mia mamma non è andata bene. Siamo riuscite a trovare dei suoi parenti ancora in vita ma si sono negati. Dopo quella storia, però, ho risolto più di 800 casi. Vedo che tutte le persone adottate prima o poi vogliono colmare il vuoto che hanno dentro. Trovare le proprie origini aiuta a stare meglio e a risolvere quel perenne stato di abbandono che si ha addosso. Le persone, a cui garantisco la privacy più assoluta, mi raccontano la loro storia. Una volta che ho in mano i dati essenziali, scrivo l'appello e lo pubblico prima sul web e poi lo condivido in tutti i miei social network. Questo vale anche nel caso si tratti di stranieri. Ad esempio, se sono cittadini russi, lo condivido sulle pagine che ho aperto in quel Paese». Il tam tam sui social dà vita al percorso verso «casa». Ogni segnalazione viene verificata e soppesata per non creare false illusioni e, passo dopo passo, si arriva al grande incontro. Quello è il momento dei fazzoletti, sia che tutto si concluda in un abbraccio, sia che la storia finisca con un congedo freddo o con una negazione.

Ci sono madri e figlie che si sono cercate per tutta la vita e si sono ritrovate in tarda età, ci sono ex bambini che, ormai padri, sentono la mamma biologica via Skype tutte le sere. E Laura Perspicace, madrina di tutti questi incontri, si commuove ogni volta che riesce a mettere a segno un'unione. «Cerco mia figlia Antonella nata tra il 19/20 ottobre del 1992 all'Ospedale SS. Annunziata di Napoli, dopo la nascita le misi al collo una catenina con l'immagine della madonna, poi è stata adottata» pubblica una madre «pentita». E come lei tanti genitori cercano i figli abbandonati, anche se, dai dati ufficiali, le istanze aperte si contano sulle dita di una mano.

ADDIO TABÙ

D'accordo i social, ma come mai le ricerche sono in costante aumento? «Viviamo una dimensione culturale che dà particolare rilevanza ai legami biologici e questo può incoraggiare il desiderio della ricerca - spiega Marco Chistolini, psicologo Ciai, il Centro italiano di aiuto all'infanzia -. Sono crollati tanti tabù in merito all'adozione e per di più i social rendono tutto più facile. Oltre ad aver semplificato le cose, Internet dà sicurezza al ragazzo che inizia a indagare sulla propria nascita. Lui è protetto dietro al pc nella sua cameretta e può lanciarsi nelle indagini anche se è minorenne».

C'è un aspetto che sembra passare in secondo piano ma che non va trascurato: il dolore dei genitori adottivi che potrebbero interpretare la ricerca delle origini come un fallimento, come una denuncia di infelicità. «Non è così - precisa Chistolini -. Con i genitori adottivi facciamo il lavoro più grosso. Accogliere un bambino in casa significa anche accogliere il suo bagaglio emotivo e biologico, accogliere le sue domande, che prima o poi arrivano. Noi consigliamo sempre ai genitori adottivi di chiedere al figlio, quando è il momento, se ha desiderio di contattare i genitori naturali senza aspettare che sia lui a chiederlo o a fare da solo. Detto questo, bisogna sapere che si corrono parecchi rischi, come la richiesta di denaro da parte della famiglia di origine, spesso in condizioni di indigenza. Oppure ricatti affettivi che risultano molto dolorosi. Però diciamo che l'esperienza ci dice che sono molti di più gli aspetti positivi di questa ricerca».

IL PARTO SEGRETO

Pur di evitare gli aborti e gli abbandoni non tutelati, la legge prevede il parto in totale anonimato. In Italia ogni anno sono circa 300 i neonati che non vengono riconosciuti alla nascita ma negli ultimi dieci anni, questo numero si è notevolmente ridotto, con un calo pari circa al 30%. Per le donne che non vogliono tenere il figlio esistono anche, in casi estremi, le «ruote della vita».

La più antica a Firenze, ma presenti negli ospedali delle principali città italiane: si tratta di culle in cui basta lasciare il neonato e premere un campanello rosso per separarsi da lui. Forse per sempre, forse solo fino al giorno in cui suonerà il telefono e si sentirà una voce adulta e inaspettata che chiederà notizie sulle sua mamma.

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