Strategie di contrasto. Perché nessuno ferma il commercio

La compravendita di organi è riconosciuta come un grave reato dalla comunità internazionale a partire dal Protocollo sulla tratta, presentato alla conferenza delle Nazioni Unite di Palermo del 2000

Strategie di contrasto. Perché nessuno ferma il commercio

La compravendita di organi è riconosciuta come un grave reato dalla comunità internazionale a partire dal Protocollo sulla tratta, presentato alla conferenza delle Nazioni Unite di Palermo del 2000. Fa parte della Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale ed è entrato in vigore il 25 dicembre 2003.

Secondo la definizione data dal protocollo di Palermo, la tratta di esseri umani comprende: «Lo sfruttamento della prostituzione altrui o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro o i servizi forzati, la schiavitù o pratiche analoghe, l'asservimento o il prelievo di organi. Il consenso della vittima della tratta di persone allo sfruttamento di cui è irrilevante in uno qualsiasi dei mezzi di cui sono stati utilizzati».

Nonostante la ratifica da parte di 168 Stati, due sono gli ostacoli a Prima cosa, il mercato nero della carne umana è una pratica transnazionale. Chi vende abita in un Paese, il fornitore-intermediario si trova in un altro Stato, chi riceve l'organo in un altro ancora, il personale sanitario compiacente che realizza l'intervento è da un'altra parte. In questo modo, per gli inquirenti ricomporre tutti i pezzi del mosaico diventa molto più complesso. A ciò, si aggiunge l'assenza di una legislazione chiara che, al di là delle definizioni tecniche, permetta di individuare le responsabilità penali concrete.

Il cambio di passo pare essere arrivato nel 2014 con l'approvazione della Convenzione del Consiglio d'Europa contro il traffico di organi umani. «Aperta anche a Stati non europei, si è posta - dice Patrizia Borsellino, docente di filosofia del diritto all'Università Bicocca - come uno strumento giuridico di contrasto forte e a tutto campo. Ma purtroppo molti Paesi non l'hanno ratificata. Tra cui anche l'Italia».

Dove però è entrata in vigore una modifica dell'articolo del codice penale (il 601 bis) che punisce il traffico d'organi con la reclusione fino a 12 anni, equiparando il venditore degli organi a mediatori e acquirenti: un ulteriore passaggio, non presente nella Convenzione, che ci garantisce un livello sufficiente di monitoraggio e controllo.

«Il problema - chiosa Borsellino - è che siamo sempre fermi lì. Sembra che ci siano delle spinte in avanti e delle buone intenzioni anche a livello di provvedimenti europei, ma poi ipocritamente non si ha il coraggio di portarle fino in fondo».

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