La città di Manduria è un luogo interessante sotto molti punti di vista. È nata dalla civiltà messapica ed è luogo di una necropoli. Nei secoli, soprattutto tra il XV e il XVIII con piccole incursioni nel basso Medioevo, l'arte cristiana ha permesso la realizzazione di palazzi religiosi molto suggestivi e chiese con stili molto differenti tra loro. Ma c'è una ragione che rende Manduria molto celebre agli occhi del mondo.
Situata poco più a nord dell'immaginaria linea linguistica Brindisi-Avetrana, rappresenta un punto di confine tra dialetto meridionale mediano e dialetto meridionale estremo. È qui, quindi, in un'area quasi di confine della penisola italiana, che si è verificato il fenomeno del conservativismo nel passaggio dal latino al volgare: è qui che in dialetto vino viene ancora da "merum", un termine usato per indicare un vino puro, schietto, senza aggiunte d'acqua. È qui che nasce il Primitivo di Manduria.
La storia del primitivo di Manduria
C'è chi pensa che il vitigno archetipo per la produzione del primitivo sia giunto a Manduria grazie agli Illiri, che coltivavano uva rossa sulle coste balcaniche: il loro vino venne portato dai mercanti navali via mare e così anche le uve.
Bisogna però aspettare molto tempo per avere i primi documenti scritti sul tema. Il primo risale al XVIII secolo e fu scritto da un religioso, don Francesco Filippo Indellicati: questi si accorse che a Manduria esisteva un vitigno rosso le cui uve erano pronte per essere vendemmiate ad agosto, prima di tutte le altre. Così decise di coltivarle e dare al vino il nome di primaticcio.
Dopo di lui la coltivazione delle uve e la produzione del primitivo iniziò a diffondersi e ad affinarsi, anche grazie all'attenzione della contessina Sabini di Altamura: la dote delle sue nozze con Don Tommaso Schiavoni-Tafuri di Manduria consistette anche in alcune barbatelle, che vennero così incrociate ottenendo un vitigno, e poi un vino, assolutamente unico.
La leggenda del Fonte di Manduria
I poeti e gli scrittori latini cantarono il vino manduriano in molti modi: in particolare fu Plinio il Vecchio a descriverlo nei suoi scritti. Ma non solo. A Plinio si deve infatti la prima descrizione di un fonte che prende il nome appunto di Fonte Pliniano e che fa bella mostra di sé sullo stemma comunale di Manduria.
Si tratta di una grande grotta naturale, che i Messapi modificarono per renderla fruibile: qui c'è infatti un bacino idrico sotterraneo che non si esaurisce mai. La caverna è inoltre illuminata da un lucernario esterno che assomiglia a un pozzo, all'interno del quale sbuca un grande mandorlo. Così l'acqua, già di per sé simbolo di vita, con il mandorlo diventa anche simbolo di prosperità.
Si ritiene che i Messapi utilizzassero il Fonte non solo come necessaria risorsa idrica, ma anche come luogo di culto. Situato nell'area archeologica di Manduria, il Fonte contiene una piccola necropoli: su essa sono sorte molte ipotesi leggendarie. Si pensa infatti che i corpi che sono stati ritrovati dagli archeologi possano appartenere ai religiosi di un culto millenario o siano le vittime di sacrifici umani.
Naturalmente non è dato sapere troppo: le fonti sul Fonte - si scusi il calembour - non dicono molto del suo utilizzo.
Ma alle persone piace, nel tempo, immaginare scenari fantastici e un luogo tanto suggestivo come il Fonte Pliniano è di grande ispirazione.La foto del Fonte Pliniano è di Emma Romanazzi Dazzi via Wikipedia
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