C'era una volta un orso che, come tutti gli orsi, cadde in letargo all'approssimarsi dell'inverno. Il suo, tuttavia, non fu un brutto sogno e nemmeno un incubo. Ma peggio. Fu un risveglio amaro. Del bosco, del suo bosco, sul far della primavera non c'era più traccia. Al suo posto capannoni, macchinari, ciminiere e un grande recinto. Lo stupore lasciò il posto all'incredulità quando l'orso scoprì di non essere creduto. Cercava il bosco perduto e trovava insulti senza senso. «Bella scusa fingersi orso per fare lo scansafatiche». O un più prosaico «Torna a lavorare». E alle sue repliche, più meravigliate che piccate, l'equivoco peggiorava. «Io sono un orso. Io non lavoro».
Quel «babbeo in pelliccia» come lo soprannominarono il capo reparto, il direttore, il vicepresidente e il presidente della fabbrica, non voleva arrendersi al lavoro. Non voleva saperne. Una fiaba moderna quanto amara. Nei panni dell'orso potrebbe esserci ognuno di noi. Nel nostro piccolo o nel nostro grande che esso sia. Il rischio di essere tacciati per cialtroni, quando la realtà sembra diversa da quella che è. Ma anche l'arroganza delle istituzioni, la lotta del singolo contro l'establishment, l'incomunicabilità e la refrattarietà ad ascoltare le altrui ragioni. Le chiavi di lettura per questa fiaba moderna per grandi e piccini sono molteplici. A ognuno spetta di trovare la propria, identificarla con le proprie convinzioni. Le opportunità non mancano. O forse potrebbero esserlo anche tutte insieme riempiendo di significato quella che nasce come una semplice favoletta.
«L'orso che non lo era» (Donzelli, pp. 70, euro 12,50) di Frank Tashlin è l'ultimo tassello che si aggiunge alla splendida collana Wallpapers riservata a tutti. Senza limiti di età. Piccoli libri corredati di splendidi disegni che danno un valore aggiunto a un oggetto che in libreria si lascia leggere, guardare e sfogliare con piacere.
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