L'uomo in grigio: Giorgio Manganelli

A Milano una mostra con cento immagini (molte inedite) selezionate dalla figlia Ne emerge il vero carattere dello scrittore

L'uomo in grigio: Giorgio Manganelli

L’album fotografico privato di Giorgio Manganelli esposto al pubblico nella sua Milano (inaugurazione oggi ore 18,30, via Cappuccio 18, nella redazione dell’editore Sedizioni), in cento foto selezionate dalla figlia Amelia Lietta, non è soltanto un ricordo nel ventennale della morte. Anzi, a sentire proprio la figlia dello scrittore, giornalista, traduttore e critico forse tra i più originali e alti del nostro

Novecento, non lo è affatto: è piuttosto, anche per chi già crede di conoscerlo, una scoperta. «Aveva queste foto sparse per la casa e le ho selezionate per raccontare una vita intera, da quando era un bambino di circa due anni fino agli ultimi giorni» ci racconta Lietta Manganelli, dalla quale ci siamo fatti illustrare in anteprima alcune immagini della mostra. Una vera fotobiografia che presenta anche immagini inedite, mai pubblicate nemmeno nel volume Quodlibet Album fotografico, uscito quest’anno a cura di Ermanno Cavazzoni: «Anche se alcune, quelle in cui è malato, non le mostrerò mai».

«La foto più classica è quella di mio padre che esce da una salumeria con un enorme panino» prosegue Lietta. «Viene da una riunione Einaudi, dove secondo lui si mangiava malissimo, e si guarda attorno con aria terrorizzata. Perché Einaudi credeva che gli scrittori fossero cosa sua e allungava spesso le mani nei loro piatti. Perciò mio padre ha paura che appaia e gli mangi panino e mortadella, cosa che lui non avrebbe mai sopportato». Capire «il Manga» attraverso le immagini è un esercizio appassionante, che scioglie molti nodi della sua scrittura. Guardandolo in volto tutto appare più complesso e insieme più comprensibile: Manganelli è l’uomo grigio che incontra se stesso e non si riconosce, è tutti i signori in grigio delle Centurie, ma è anche, come svela Lietta, «quello di Amore, favola al rovescio che legherei alle foto con mia madre, da cui lui scoprì di non essere amato se non già il giorno del matrimonio, quello subito dopo: “Che ci faccio qui?” sembra dire la mamma nella foto in cui esce dalla Chiesa, il giorno delle nozze. In Amore ci si ama “dove tu non sei e dove io non sono”: una situazione magica e irraggiungibile, come il sasso della foto in cui ci sono lui e mia madre, a Endenna, grazie al quale si poteva “trovare il fidanzato”».

Non in compagnia di un peluche troviamo il piccolo Giorgio, a due anni, ma di un libro. «È la foto tenerissima che ho oggi sulla mia scrivania: seduto su un muretto, mio padre bambino che legge. Ha già bisogno di uno schermo a un’età in cui gli altri hanno bisogno di una palla per giocare». Fu un bambino infelice, ci dice Lietta, perché era un bambino brutto. E la mamma lo vestiva da bambina, con il colletto di pizzo e il vestitino ricamato. E fu un bambino arrabbiato, perché lo portavano al mare, luogo che lui detestava. «Persino nelle foto con i piccioni aveva la faccia incavolata». E fu un signore innamoratissimo di una donna che non lo voleva. E di una figlia che gli fu portata via. E da queste disillusioni, e non da altro, secondo Lietta, prese l’abitudine di raccontare e raccontarsi solo quel che voleva, non quel che era vero.

«Vede la foto in cui è seduto ad una scrivania con una lettera in mano? È la prima lettera che gli scrissi dopo quindici anni di separazione non voluta. Me la mostrò e mi disse “è venuto un amico e mi ha fatto questa foto”. E poi scoprii da sola che l’“amico” era lo psicanalista, da cui era corso dicendo “mi ha scritto mia figlia. Ora che faccio?”».

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