"Il giudice non deve sostituirsi all'esecutivo. Sulla sentenza europea un equivoco di fondo"

L'alto magistrato Claudio Zucchelli: "La lista di Paesi resta un documento dello Stato. No a commissariamenti del governo. Ciascuno svolga il suo compito"

"Il giudice non deve sostituirsi all'esecutivo. Sulla sentenza europea un equivoco di fondo"
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Il contrasto fra la norma italiana e la sentenza europea non c'è. Claudio Zucchelli, oggi, in pensione, presidente aggiunto onorario del Consiglio di Stato, non ha dubbi: «Si è creato un equivoco di fondo sulla sentenza della corte di Lussemburgo».

E quale sarebbe l'equivoco?

«La sentenza è netta solo su un punto: se un Paese ha una zona insicura quel paese diventa insicuro. Questo è un dato insuperabile e non ci può essere lista che tenga».

Ma i giudici italiani vanno oltre e sostengono che il nuovo decreto legge, contenente la lista aggiornata dei paesi sicuri, è incompatibile con la normativa europea o scricchiola da tutte le parti. Hanno ragione?

«Siamo all'abbaglio. La sentenza sul punto rimanda semplicemente all'allegato 1 della direttiva europea», che spiega che un paese è sicuro se in linea generale non ci sono persecuzioni e violazioni dei diritti fondamentali. È il punto infiammato. Il criterio indicato nell'allegato è un faro per le autorità politiche dei paesi europei che dovranno fare le loro valutazioni, incrociare i dati, aggiornarli con realismo e infine compilare la famosa lista dei paesi sicuri».

I giudici?

«Sulla base di questo allegato, sono chiamati a verificare in concreto i casi su cui devono decidere».

Quindi?

«Non vedo un conflitto insanabile, a priori, fra la norma tricolore e quella di Bruxelles. Ci possono essere semmai eccezioni, deroghe, casi particolari, ma la lista è e resta il frutto di uno studio compiuto dall'amministrazione dello Stato, non dai magistrati. I giudici potrebbero disapplicare la norma solo se trovassero, nella lista degli stati sicuri, un paese con una zona insicura».

Negli altri casi?

«I magistrati non devono commissariare la Farnesina o Palazzo Chigi e andare in Egitto, magari con la scorciatoia di internet, per vedere se ci sono vittime di torture o chissà che altro. No, devono valutare se le norme e gli atti amministrativi, per esempio quelli decisi dal questore, sono corretti o viziati. Confezionati in modo contraddittorio o minati da eccesso di potere o altro ancora. Insomma, i giudici facciano i giudici. Come spiega con chiarezza la sentenza della sesta sezione della Cassazione che ribalta la decisione della corte d'appello di Brescia».

È la sentenza che riguarda un marocchino sul punto di essere rimpatriato.

«Deve essere la corte d'appello, secondo la Cassazione, a dimostrare rischi e pericoli del rimpatrio. Lui sostiene che in patria è sottoposto ad un processo simulato per colpirlo nelle sue idee politiche. La Corte deve dimostrarlo».

Si inverte l'onore della prova?

«Esatto. La regola è quella dei paesi sicuri. Poi, si può sempre motivare in senso opposto in un certo caso o in un altro. Ma non si può cancellare una norma, bypassarla, sulla base di un presunto contrasto che non c'è»

Una parte della magistratura fa di fatto opposizione ai governi di centrodestra?

«Da noi c'è la separazione dei poteri e ciascuno deve svolgere il proprio compito con scrupolo. Mi pare che ci sia in qualche caso una sovrapposizione di ruoli che non aiuta. È una tendenza che ha preso piede anche a Strasburgo».

Alla Corte dei diritti dell'uomo?

«Si, esatto, questa corte tende ad allargare ulteriormente il proprio campo d'azione e a codificare i diritti fondamentali dell'uomo».

Si sostituisce ai parlamenti dalle assemblee costituenti?

«Come accennavo è una tendenza in una realtà complessa.

Ma occorre, in generale, stabilire confini precisi: le corti non possono prendere il posto che non spetta a loro. Anche in Italia la magistratura si confronti con le norme. E non cerchi la strada per realizzare un mondo migliore. A questo deve pensare la politica.».

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