Migranti, la lunga "lotta" dei giudici

Dalle prime sentenze anti-rimpatri di 24 anni fa, alla Apostolico fino al caso Albania

Immagine di repertorio
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C'è una lunga teoria di sentenze controverse prima della decisione arrivata dal tribunale di Roma che ha riportato in Italia dal centro per le procedure accelerate in Albania anche il secondo gruppo di sette migranti egiziani e bengalesi. L'intromissione delle toghe nelle questioni che riguardano i migranti è un trend che non rappresenta una novità, anche se adesso, con l'esecutivo Meloni, il fenomeno sembra più spinto che mai.

Già nel «remoto» 2000, proprio tra novembre e dicembre, una serie di sentenze tra cui due del tribunale di Milano sollevarono eccezioni di legittimità costituzionale sugli accompagnamenti coatti previsti dalla Turco-Napolitano. E anche quando al governo c'era Conte i problemi con la magistratura quanto alle politiche migratorie non sono mancati: nel 2021, a gennaio, fu il tribunale di Roma a stabilire con un'ordinanza, accogliendo il ricorso di un migrante pakistano, che le «riammissioni» verso la Slovenia dal confine italiano erano illegittime. Sollevando la perplessità di Giorgia Meloni, all'epoca all'opposizione. Ed è ancora la presidenza del consiglio del governo Conte che viene condannata (a giugno di quest'anno), insieme ai ministeri della Difesa e dei Trasporti perché il 2 luglio 2018 il mercantile Asso29 aveva riaccompagnato in Libia 150 migranti, dopo averli caricati a bordo a seguito del soccorso in mare a una motovedetta di Tripoli che era in panne.

Risale invece alla fine di settembre del 2023 la sentenza di mancata convalida dei trattenimenti di quattro migranti tunisini da parte della giudice catanese Iolanda Apostolico, primo magistrato a schierarsi contro le procedure accelerate alla frontiera introdotte dal decreto Cutro. Il caso rilanciò le tensioni tra esecutivo e magistrati, che oggi sono di nuovo altissime. A innescare l'ultimo capitolo, l'ordinanza della sezione immigrazione del Tribunale di Roma dello scorso 18 ottobre, che ha messo il bastone tra le ruote all'operazione Albania non convalidando il trattenimento nel centro aperto dal governo nel Paese delle Aquile dei 12 migranti che la nave Libra aveva appena portato lì. Per le toghe romane, i Paesi di provenienza, Bangladesh ed Egitto, non sarebbero stati sicuri, alla luce di una sentenza della Corte di Giustizia Ue arrivata all'inizio dello stesso mese, che però sosteneva l'impossibilità di definire «sicuro» un Paese di origine se questo conteneva al suo interno una parte di territorio che non fosse sicura. Per i migranti «riportati in Italia» dalla decisione dei magistrati romani, invece, in ballo c'era un altro criterio, quello delle categorie di persone considerate «fragili» nei Paesi di provenienza. Da lì in avanti si sono moltiplicate le decisioni dei giudici che si sono messe di traverso rispetto alle scelte politiche del governo sul tema. L'esecutivo sceglie di elencare in un decreto legge e non più in un decreto interministeriale i Paesi di origine sicuri? Subito dopo, a fine ottobre, la sezione immigrazione del tribunale di Bologna presenta un rinvio pregiudiziale del dl Paesi sicuri proprio alla Corte di giustizia Ue. E riporta come esempio paradossale, a proposito dei criteri per definire «sicuro» un Paese, quello della Germania nazista, «estremamente sicuro per la stragrande maggioranza della popolazione tedesca» esclusi ebrei, gay, rom e oppositori.

Il 4 novembre è il tribunale di Catania ad annullare i cinque trattenimenti di 3 egiziani e 2 bengalesi perché la «non sicurezza» dei rispettivi Paesi, mentre il 6 novembre sono i giudici di Palermo a bussare alla porta della Curia Ue, sostenendo nell'ordinanza che un Paese per essere considerato sicuro lo deve essere per tutte le categorie di persone. Anche se il migrante che fa ricorso non sostiene nemmeno di far parte di una delle categorie «fragili».

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