Per completare la riforma del 1989 il pm e il giudice devono essere “due figure strutturalmente differenziate nelle competenze e nella carriera”. La separazione delle carriere che il governo incassa oggi è il completamento del sistema giudiziario del 1989. Ci sono voluti 36 anni (e ce ne vorranno un altro paio per la doppia lettura di Camera e Senato) per provare a far cambiare a una giustizia sempre più lontana dai cittadini. Le parole di Giovanni Falcone di allora sulla riforma incompiuta gli hanno causato più guai che meriti. Ma tant'è.
La giustizia non funziona, è sotto gli occhi di tutti. La separazione delle carriere è la ricetta giusta? Non lo sappiamo, ma la resistenza del Sistema correntizio disvelato da Luca Palamara ne è un buon indizio.
“Non si può avere un giudice figura neutrale, non coinvolta, al di sopra delle parti, avendo formazione e carriere unificate, con destinazioni e ruoli intercambiabili, indistinguibili gli uni dagli altri”, diceva l’eretico Falcone.
L’indipendenza “dipende” da tanti fattori. Uno su tutti: le carriere dei pm dipendono anche dal voto dei giudici e viceversa, il risultato è che le due parti in commedia si annusano e si mettono d’accordo anziché detestarsi civilmente. Le nomine sono da sempre frutto di accordi sottobanco, con buona pace delle reali capacità, ci sono state figure capaci di orientare politicamente e ideologicamente l'azione di alcune Procure e di alcuni tribunali, in cambio di chissà quali garanzie e utilità. Vedi il pasticcio dell'Hotel Champagne che ha trascinato nel fango mezzo Csm pur di scongiurare l’arrivo a Roma del papa straniero Marcello Viola, oggi a Milano.
La credibilità di tutta la magistratura è ai minimi termini ma non è colpa della politica. Si dirà, sbagliato il doppio Csm per inquirenti e giudicanti, i cambi di carriera tra pm e giudice sono così pochi da rendere la separazione inutile. Bugia (basta vedere le storture del caso di Gabriele Elia, che in Cassazione si è trovato il pm che l’ha incriminato nella stessa sezione che l’ha giudicato). Pm e giudici devono essere "nemici", non complici. Alternativi, non subalterni. "Il giudice nulla deve avere da chiedere, da pretendere e soprattutto da temere rispetto all'accusatore", dice spesso l'ex Pg di Catanzaro Otello Lupacchini, come nei telefilm americani law and order con il pm scettico a istruire un processo con prove fragili per evitare figuracce davanti al giudice, in Italia abbiamo avuto gip notai delle Procure. I pochi che si discostano da questo protocollo (vedi la recente indagine sull'asse mafia, camorra e 'ndrangheta a Milano) fanno giustamente scalpore.
La terzietà del giudice rispetto al pm, che decide e valuta in autonomia, senza temere che la sua carriera dipenda da una condanna, non si costruisce con una riforma ma lavorando sulla formazione dei prossimi magistrati giudicanti. Ecco perché forse solo tra qualche anno - referendum confermativo permettendo - la separazione darà la svolta necessaria. Fino ad allora meglio appellarsi alla clemenza della Corte.
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