Il vero Calamandrei e l'ipocrisia dell'Anm

Il pm che si immaginava Calamandrei era una figura che si colloca "in uno squisito equilibrio" tra "un avvocato senza passione e un giudice senza imparzialità"

Il vero Calamandrei e l'ipocrisia dell'Anm
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Che senso ha brandire la Costituzione e calpestarla? Citare Pietro Calamandrei e tradirne l'eredità? Lo smarrimento per lo sciopero dei magistrati è pari solo all'ipocrisia dell'Anm. Non si manifesta contro una legge che il Parlamento deve ancora discutere, sarebbe come se un politico volesse dettare una sentenza ai giudici in camera di consiglio. Di fronte a una norma che si considera contraria alla Costituzione c'è la Consulta, non la piazza. E chi blatera del rischio che i pm finiscano sotto il giogo della politica dimentica l'articolo 104 della stessa Carta che si agita come spauracchio: «La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro Insomma, «è una menzogna», come urla a vuoto l'ex presidente delle Camere penali Giandomenico Caiazza.

Il pm che si immaginava Calamandrei era una figura che si colloca «in uno squisito equilibrio» tra «un avvocato senza passione e un giudice senza imparzialità». Abbiamo visto magistrati nascondere nei cassetti prove che avrebbero smontato i loro teoremi e restare impuniti. Per Calamandrei «terzietà e imparzialità vanno assicurate sotto il profilo dell'apparenza... Il giudice dovrebbe consumare i suoi pasti in assoluta solitudine, come unica commensale l'indipendenza», invece schegge della magistratura più ideologica vanno a braccetto con chi ha promesso loro di difendere in Parlamento le loro prerogative corporative e quella finta credibilità di «buoni contro cattivi» conquistata con Mani pulite sul sangue degli innocenti al carcere preventivo come regola e sul processo penale basato «su delazioni e ricompense», come scrisse l'ex magistrato e notabile Dc Enzo Binetti nel suo Nelle mani dei giudici.

L'influenza della politica sulla magistratura non si misura in norme ma in coscienze, non c'è riforma costituzionale che possa sanare questo sistema «ibrido» che oscilla «tra indipendenza costituzionale della funzione e dipendenza amministrativa del funzionari», scriveva proprio Calamandrei nel suo Processo e Democrazia, nel capitolo Giustizia e politica: sentenza e sentimento. È tutto sulle spalle del singolo magistrato cedere o non cedere alle lusinghe della politica, soprattutto quando c'è in gioco la sua carriera, il prestigio, il potere. «Può accadere che il magistrato sia portato naturalmente a considerare come ottimo modo di render giustizia quello che meglio giova alla sua propria carriera, un assillo che può diventare ossessione».

L'abbiamo visto con lo scandalo innescato da Luca Palamara, dalle cene all'Hotel Champagne, da quel coacervo di interessi incrociati in quel Csm della vergogna che neanche lo scioglimento avrebbe salvato, da quel Sistema che - lo dicono anche recenti e discutibili promozioni - è lungi dall'essere abbattuto se non si scinde l'abbraccio mortale di giudici e pm che nello stesso Csm decidono le altrui carriere. Con il merito che prevale sui nemici politici condannati. È per questo che la riforma della giustizia fa così paura.

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