Shade, tecnicamente lei è un rapper.
«Da quando avevo neanche 15 anni. Oggi diciamo che sono un boomer del rap».
Ma se ha appena 35 anni.
«Essere boomer è uno stato d'animo, non un'età. Diciamo che vivo distante dai clichè tipici del rap».
Ossia?
«Mi faccio la tisana, seguo le serie in tv, insomma faccio quelle cose lì. Ma non solo il solo, eh».
Ad esempio?
«Inoki, Tormento, pure J-Ax, sono tutti lontani dai luoghi comuni di certo rap».
Shade in realtà si chiama Vito Ventura, è torinese ma senza accento perché ha il sangue pugliese dei suoi genitori e si è costruito la credibilità passo dopo passo in un ambiente diffidente come quello del rap prima con i dissing e poi vincendo l'X Factor dell'hip hop, ossia Mtv Spit condotto da Marracash. Da quel momento Shade ha inanellato album e singoli, alcuni dei quali (come Bene ma non benissimo o Irraggiungibile) si sono caricati di milioni di clic, ha partecipato a Sanremo nel 2019 e l'anno scorso ha attraversato l'estate con Tori seduti in coppia con J-Ax. E adesso pubblica il brano Lunatica, che ha le potenzialità per arrivare fino all'estate: «Molti me lo hanno già scritto ma chissà, vedremo». Insomma è un volto dell'«altro» rap, quello educato e comunque sganciato da esagerazioni, status symbol, dipendenze e misoginie varie. L'eccezione che conferma la regola.
In sostanza Shade è un «alternativo» del rap.
«Difatti quando ho iniziato a fare freestyle (improvvisazioni libere tipiche dei rapper - ndr), arrivavo con il mio bel faccino e molti mi dicevano di tornare a lezione di religione. Anche quando mi sono iscritto a Mtv Spit, mi hanno consigliato di rivolgermi a X Factor o ad Amici».
Poi però ha vinto.
«Non è l'aspetto a fare il rapper».
E l'età quanto conta?
«Spesso mi invitano a fare dirette su Twitch e ogni tanto mi sento un pochino cringe».
Spieghi per i boomer.
«Chi mi chiama ha vent'anni, io 35 e cringe significa grosso modo imbarazzante. Diciamo che mi sento il loro fratello maggiore».
Però nel video del suo penultimo singolo c'è la tiktoker Nicky Passarella che ha poco più di vent'anni.
«Ci seguiamo sui social, gliel'ho chiesto, lei mi ha risposto sì e tutto è nato con estrema semplicità. Il discorso dell'età è molto relativo. Ad esempio quando faccio freestyle torno ad avere sedici anni».
Ma il freestyle è spesso volgare.
«Nel mio pubblico ci sono molti bambini e quindi quando faccio freestyle dal vivo chiedo sempre scusa ai genitori. Però se sale sul palco qualcuno che mi attacca, io mi devo difendere.... (sorride - ndr). È la logica del freestyle. Se devo fare battute con il doppio senso le faccio».
E parolacce/volgarità?
«Solo se non sono gratuite. Credo che questa sia la vera differenza: non essere mai gratuiti».
E cosa bisogna essere?
«Veri. Devi raccontare la realtà altrimenti ti sgamano subito. Molti cantano di feste e donne e droghe, ma davvero fanno quella vita? Non so».
Ora c'è il nuovo brano Lunatica. E il disco?
«Ci sto lavorando, avrà tanti feat di rap ma anche di pop coerente».
Si è parlato poco della sua collaborazione con Patch Adams, il medico ideatore della «clownterapia» per portare buon umore a orfani e ammalati.
«Non mi piace mettermi in mostra».
Racconti.
«Nel 2016, una vicenda personale mi ha fatto scrivere il brano intitolato Patch Adams. Lui l'ha sentito e mi ha voluto durante la sua tournèe in Italia. Andavo negli ospedali con lui e pure sul palco. È un tipo completamente fuori dagli schemi, uno che arriva negli orfanotrofi o negli ospedali vestito da clown con i capelli azzurri. Non ha neanche il cellulare, è una sorta di Gandhi del 2000. Ho visto il bene che fa ai malati, ho visto come talvolta lo respingano e lui riesca a consolarli lo stesso. Qualche volta sono scoppiato in lacrime».
Un rapper dal cuore d'oro.
«Direi il rapper della porta accanto, mi piace di più».
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