Malaparte e Bulgakov nella Mosca sovietica. Ecco il "dossier" inedito sulla loro vera amicizia

Si conobbero nel '29, si piacquero e si influenzarono reciprocamente. Un libro indaga sul rapporto tra i due

Malaparte e Bulgakov nella Mosca sovietica. Ecco il "dossier" inedito sulla loro vera amicizia

Troppo bello per essere vero: nel 1929, il neo-direttore della Stampa di Torino, Curzio Malaparte, arriva nella Russia dei Soviet per realizzare una serie di reportage. Il mondo comunista è ancora relativamente ignoto, e perfino il regime fascista non ha ancora deciso se Mosca sia amica o nemica.

Curzio Malaparte entra in un giro di amicizie nelle quali spicca lo scrittore Michail Bulgakov, acerrimo nemico della Rivoluzione e quindi censurato allegramente. Rischia la vita ma viene risparmiato, pare certo, per volontà di Stalin, al quale è piaciuta la pièce teatrale I giorni dei Turbin. Il dittatore la giudica involontariamente filo-sovietica: se anche grandi uomini come i Turbin hanno ceduto alla dittatura del proletariato, significa che la Rivoluzione è inarrestabile. Nonostante la «protezione» di Stalin in persona, Bulgakov finisce comunque ai margini della vita culturale e subisce anche un tragico sequestro dei suoi scritti, i Diari in particolare, nei quali era assai esplicito sulle nefandezze del socialismo reale. Da quel momento, sa di essere un morto che cammina e vivrà con il terrore perpetuo che qualcuno lo venga a prelevare all'alba.

Il tratto d'unione tra Malaparte e Bulgakov è Marica, ragazza alla quale lo scrittore russo e sua moglie erano affezionati come a una figlia. Marica si innamora del giornalista italiano, è una storia breve ma intensa, addirittura drammatica (lei ne uscirà a pezzi). La moglie di Bulgakov, nei suoi ricordi, evoca il primo incontro tra il marito e Malaparte. Una allegra compagnia si mette in moto per raggiungere la campagna e festeggiare. In macchina, c'è «l'uomo più bello che avessi mai visto» ovvero Curzio Malaparte.

I rapporti tra Curzio Malaparte e Michail Bulgakov sono noti, per quanto manchi un vero resoconto dettagliato. Carla Maria Giacobbe in Curzio Malaparte e Michail Bulgakov. Incontri reali e letterari nella Mosca del 1929 (Algra editore, pagg. 220, euro 15) mette insieme un appassionante dossier di indizi, presentando, in particolare, anche le risultanze, spesso inedite in Italia, da parte russa.

Non si può dire, come sostiene frettolosamente qualche critico, che Woland, il diavolo de Il maestro e Margherita, capolavoro di Bulgakov, sia ispirato a Malaparte. Ma è innegabile che i contatti tra il primo e il secondo non siano stati superficiali. Numerose fonti attestano una frequentazione magari non prolungata nel tempo ma sufficientemente profonda per aver influenzato entrambi. D'altronde, Malaparte sapeva benissimo di essere davanti a un grande artista: proprio la sua Stampa se n'era accorta per prima in Italia, elogiando il romanzo La guardia bianca (da cui è tratta la pièce amata da Stalin).

«Un saggio che si legge come un romanzo» è una frase fatta che offende il saggista. In questo caso, invece è proprio vero ed è un complimento. Lo stile di Carla Maria Giacobbe è chiaro ma rigorosamente accademico. Il giallo sta nei fatti accostati l'uno all'altro con la perizia del filologo. Del resto, cos'è la filologia se non un'inchiesta su un testo letterario? Non appena si approfondisce il contesto nel quale Malaparte e Bulgakov si conoscono, si entra in una gigantesca casa negli specchi. Tutti, tranne Bulgakov, potrebbero essere spie e doppiogiochisti: Malaparte, Marica, i loro amici in comune sia italiani sia russi.

Qualche anno fa, fu pubblicato da Adelphi il romanzo incompiuto Il ballo al Kremlino, in una attenta edizione a cura di Raffaella Rodondi. Malaparte, in queste pagine, ricordava il suo viaggio del 1929 e si poneva come un possibile Proust dell'Unione sovietica. Lo scrittore colse immediatamente l'esistenza di una decadente aristocrazia russa. Purtroppo Malaparte non concluse l'opera: sarebbe stato un capolavoro del livello di Kaputt e della Pelle.

Da Giacobbe veniamo a sapere che la festa ci fu davvero, e che c'erano sia Malaparte sia Bulgakov. Nel romanzo, Bulgakow (sic) e Malaparte si allontanano dal palazzo per discutere dell'esistenza di Dio e della natura del cristianesimo. Potrebbe non essere fantasia, anzi. Non sono pochi i passi che avvicinano Il ballo al Kremlino a Il maestro e Margherita. Quest'ultimo uscì postumo ma Bulgakov, fin dalla prima stesura, sottopose gli amici alla lettura delle parti già scritte. A questa redazione sembra guardare Malaparte. Non si possono escludere neanche influenze in direzione opposta, da Malaparte a Bulgakov.

Alla fine, il giallo non c'è. Prudenza, prudenza, prudenza. Non si possono sopravvalutare, dal punto di vista storico, testimonianze letterarie, tanto più nel caso di Malaparte, sempre pronto a trasformare i propri incontri in leggenda. Però... Malaparte è un maestro nel mescolare le carte e nel confondere realtà e finzione, fonti libresche e osservazione diretta. In Kaputt c'è una scena famosissima, quella dei cadaveri congelati dei cavalli. È sempre stata ritenuta pura fantasia, un esempio dell'abilità di Malaparte. Anche altri avvenimenti del libro sarebbero inventati di sana pianta. Poi saltarono fuori le foto e la testimonianza di Lino Pellegrini, l'autista di Malaparte, l'uomo che insorge davanti alla crudeltà della polizia romena, impegnata in un micidiale pogrom.

Le immagini e le parole di Lino (firma anche di questo giornale) furono pubblicate da Nuova storia contemporanea, la rivista di Francesco Perfetti. La realtà aveva superato la fantasia. Malaparte romanzava ma a partire dal vero.

Il diavolo Woland, giunto a Mosca per mettere in ridicolo i comunisti, non sarà Malaparte ma gli assomiglia almeno un po'.

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