Dalla mancata difesa della nostra Capitale al confine orientale. Alle radici del disastro

Due saggi appena usciti illustrano, a 80 anni di distanza, il meccanismo perverso che portò alla disgregazione delle nostre forze armate. Da Roma sino al vulnerabile Friuli Venezia Giulia

Dalla mancata difesa della nostra Capitale al confine orientale. Alle radici del disastro

Quando, alle 17 e 45 dell'8 settembre del 1943, l'agenzia Reuters diffonde il comunicato diramato da Radio Algeri, quello che deve accadere accade. Le scelte, gli errori, gli azzardi e le ambiguità di tutti gli attori in campo fanno accelerare gli eventi, danno il via alla rapidissima detonazione che segnerà il destino di Roma, di una monarchia e di una intera nazione. Avvenimenti così convulsi e a tratti quasi surreali che gli storici hanno sempre faticato a darne un'interpretazione univoca. Del resto gli stessi partecipanti si trovarono coinvolti in un gigantesco gorgo di cui erano incapaci di decifrare l'intreccio delle correnti. Intreccio del quale a cose fatte, a Paese spezzato e martoriato, tesero quasi tutti, scientemente oppure no, a raccontare la versione più assolutoria (anche nel senso più propriamente giuridico) o quantomeno quella che li faceva sentire meno in colpa.

Ecco che allora tra le uscite storiografiche di quest'anno relative agli eventi del settembre 1943, ne segnaliamo alcune che suggeriscono delle rotte per navigare attraverso la tempesta che, esattamente ottanta anni fa, spezzò in due l'Italia e diede vita alla guerra civile.

Ad esempio Tagliare la corda (Solferino, pagg. 278, euro 18) di Marco Patricelli si concentra sulla fuga del Re e delle autorità militari del 9 settembre. Come chiarisce l'autore, mettere al sicuro la monarchia e le massime istituzioni italiane dai tedeschi era una priorità assolutamente giustificata. Il dramma dell'8 settembre e dei giorni a seguire non fu la fuga da Roma. Ma il folle dilettantismo con cui fu organizzata, se di organizzazione si può parlare. I termini dell'Armistizio di Cassibile, ma soprattutto il suo sottotesto politico militare, non vennero valutati a pieno. Questo nonostante il fatto che alcuni come il ministro degli Esteri Raffaele Guariglia avessero avvisato Badoglio del difficile e stretto corridoio in cui ci si doveva muovere. Scriveva Guariglia il 28 agosto: «Siamo stretti tra due forze. Quella effettuale tedesca, quella potenziale americana... La posizione italiana è troppo grave per credere di poterla risolvere con qualche improvvisato colpo di testa».

E invece i colpi di testa ci furono e a ripetizione. Il generale Carboni distribuiva armi alla popolazione civile di Roma e agli antifascisti per organizzare una eventuale resistenza a Roma; armi che, però, venivano sequestrate dalle forze di polizia. Si tentò di organizzare la reazione contro i tedeschi attraverso la diffusione di un ordine segreto, il così detto «OP 44». Ma l'ordine conteneva indicazioni folli, come quella di girare verso le truppe tedesche anche i cannoni delle postazioni costiere. Erano in strutture di cemento con angoli di tiro orientabili solo verso il mare. Ma soprattutto l'ordine prevedeva solo azioni difensive, nemmeno un tentativo di prevenire le azioni dei tedeschi. Per di più era previsto un seguente fonogramma che allertasse i comandi. Quando gli alleati forzarono la mano agli italiani sulla data dell'8, tutti questi meccanismi saltarono. Ancora alle ore 23, dopo il famoso comunicato di Badoglio via radio, in cui non si ha nemmeno il coraggio di nominare i tedeschi come potenziali aggressori, il generale Carboni prima assicura al Re che le forze della Wehrmacht sono in fuga verso il Nord, poi chiede se sia il caso di inseguirle.

Poi anche al ministero della Guerra arriva l'eco delle cannonate. Non c'è nessuna fuga, i tedeschi sanno benissimo cosa fare, hanno accumulato forza mentre nessuno glielo impediva, organizzato l'Operazione Alarico. Il cannone risuona solo perché alcuni ufficiali hanno deciso da soli di intervenire e di sbarrargli la strada. Come il comandante della 21esima divisione, il generale Gioacchino Solinas. È un fascista convinto ma ha giurato al Re e rispetta il giuramento, fa da solo, combatte, non cede terreno, i suoi granatieri resisteranno sino al 10 settembre. Ma intanto la città viene abbandonata dalla corte. Ed è il modo, non l'abbandono a provocare il disastro, un vulnus irreparabile, di cui Badoglio fu in gran parte responsabile.

Un altro volume interessante che disegna una prospettiva nuova sul settembre del '43 è Il disonore delle armi (Ares, pagg. 702, euro 28) di Roberto Spazzali. Il volume prende in esame l'armistizio e la mancata difesa della frontiera orientale. Mostra quanto sia stata tragica la mancanza di ordini in questa zona dove sarebbe stato fondamentale ostacolare le truppe tedesche. Gli italiani si trovarono schiacciati tra i tedeschi e le forze partigiane jugoslave. Ci furono straordinari episodi di coraggio e resistenza, ma la mancanza di ogni coordinazione portò gli italiani al disastro.

Il volume di Roberto Spazzali (realizzato con il contributo dell'Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata) analizzando anche fonti poco utilizzate sino a ora, come gli incartamenti del processo del generale Giovanni Esposito, ricostruisce nel dettaglio una vicenda locale che è lo specchio del dramma dell'intero Paese. Ma che in Istria e Dalmazia ha avuto gli esiti più tragici.

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