Marchionne: senza Ifil non sarei rimasto

Sergio Marchionne non sarebbe rimasto in Fiat se non ci fosse stato Ifil come azionista di riferimento in occasione della vicenda del convertendo. Lo ha detto l’a.d. del Lingotto durante la testimonianza resa oggi al Tribunale di Torino nel processo sull’equity swap che permise all’Ifil di restare soggetto di riferimento della casa torinese

Torino - Sergio Marchionne non sarebbe rimasto in Fiat se non ci fosse stato Ifil come azionista di riferimento in occasione della vicenda del convertendo. Lo ha detto l’a.d. del Lingotto durante la testimonianza resa oggi al Tribunale di Torino nel processo sull’equity swap che permise all’Ifil di restare soggetto di riferimento della casa torinese. «Dopo il convertendo - ha spiegato Marchionne - l’azionista di riferimento sarebbe cambiato. Io avevo ricevuto indicazioni chiare che ci sarebbero stati cambiamenti nella presidenza e nella dirigenza. Io a quelle condizioni non sarei rimasto». Marchionne ha poi sottolineato che per la Fiat l’unico obiettivo «era di avere un azionista di riferimento che avrebbe promesso al management di completare il piano di rilancio». «Quell’azionista - ha aggiunto - lo avevamo individuato nell’Ifil. Tutti gli altri discorsi, Lehman Brothers e spezzatino, non avrebbero potuto fare la stessa cosa. Tutte le altre ipotesi non avevano lo stesso obiettivo che avevamo noi e l’Ifil». Marchionne ha anche detto che in quel momento «non c’era nemmeno una banca al mondo che non stesse lavorando per trovare una soluzione». In pratica tutte la stavano cercando.

Per la soluzione del prestito convertendo con le banche da 3 miliardi di euro la Fiat studiò varie soluzioni tra cui quella di un «convertendo sintetico» che avrebbe allungato i tempi di tre anni ma avrebbe tolto alle banche il diritto di voto. A questa proposta gli istituti di credito dissero di no, ha detto Marchionne. «Una operazione - ha spiegato Marchionne - non facile. Ne discussi con le banche e Gianluigi Gabetti. Ma gli istituti di credito - ha commentato - erano più interessati a partecipare direttamente alla ristrutturazione del gruppo». L’amministratore delegato della Fiat, rispondendo in aula alle domande, ha sottolineato di non avere mai saputo nulla di operazioni finanziarie da parte dell’azionista di riferimento prima dell’equity swap e di aver saputo di quest’ultimo il 14 settembre del 2005. «In Borsa - ha risposto - dopo aver sciolto l’alleanza con Gm in quel periodo c’erano alti e bassi notevoli. Erano però solo speculazioni, un fatto normale. C’erano persone che credevano oppure no sul piano di rilancio». L’ad del Lingotto ha anche ricordato di aver saputo della lettera di Lehman Brothers sull’interesse d’acquisto del blocco delle azioni Fiat «un’ora dopo dalle banche». «Era un’azione - ha spiegato - per fare dello spezzatino. In quel modo avrebbero disintegrato l’auto.

In quel momento era il problema più grave mentre altri settori avrebbero generato plusvalenze. Anche se l’auto era un’azienda malata inguaribile, in quel momento ci cercavano metodi per scaricarla sulle spalle di altri».  

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