«Medico» scoperta senza laurea, si uccide

La donna, 42 anni, era in realtà una studentessa universitaria fuori corso. Ma lavorava all’Asl con un’autocertificazione

Alberto Vignali

da La Spezia

Una bugia insostenibile, impossibile da raccontare se non quasi per vanteria. Ma Roberta Zampolini, 42 anni, spezzina, su una bugia ha costruito una vita, o meglio una vita alternativa alla realtà. Aveva detto di essere medico e sulla parola, con una semplice autocertificazione, era stata assunta al 118 della Spezia.
L’hanno scoperta per un inghippo burocratico, non perché il suo superiore si fosse accorto che non era un medico. Così aveva dovuto confessare. Una verità troppo difficile da portare avanti, forse un risveglio da una vita irreale, tanto che l’altra mattina, dopo che la sua storia era finita sui giornali, l’esistenza di Roberta si è chiusa sul prato interno al cortile di casa sua. In un lago di sangue tra un asciugamano e una ciabatta. Forse Roberta ha preferito togliersi la vita per cancellare così la sua vergogna. Gettandosi dal balcone della sua abitazione, martedì alle 7.20, dal quinto piano di un palazzo anonimo, nel quartiere di Ressora, nel Comune di Arcola, nella valle del Magra. I condomini hanno sentito un tonfo e poi le sirene. Un team del 118, i «colleghi», che tentano di salvarla e la corsa all’ospedale dove però la donna è morta. Alla fine anche un po’ di speranza, con l’espianto delle cornee.
È finita così la storia, o meglio la tragedia di una bugia. Roberta era una studentessa fuori corso in medicina. Quando l’estate scorsa ha visto pubblicato su un quotidiano l’annuncio della ricerca di personale della Asl 5, aveva risposto inviando una domanda. L’hanno chiamata ed era stata assunta a tempo determinato tra i medici del servizio 118. Al momento del colloquio aveva firmato un’autocertificazione: una prassi resa possibile - dicono all’Asl - dalla famosa legge Bassanini. Aveva detto di essere medico, tanto bastava per salire su un’automedica e gestire casi difficili, disperati, in condizioni critiche. Oltre duecento da luglio a dicembre, tra cui un infarto al prefetto (ma in questo caso con lei era salito anche un medico anziano), una maxi emergenza per una nave affondata e oltre venti emergenze in cui i pazienti non erano arrivati vivi all’ospedale. Sono cose che capitano.
«Si è tentato tutto ciò che si poteva», e uno si fida perché a dirlo è un medico. Ma, a quanto si scopre adesso, Roberta non aveva mai conseguito la laurea.
Di lei i suoi ex colleghi di lavoro raccontano poco, aveva detto di essersi laureata quindici anni prima e di non aver mai esercitato. Aveva raccontato di avere una buona base, ma poca esperienza diretta. Dietro questa scusa si è nascosta affidandosi molto alla competenza degli infermieri, più anziani di servizio, che l’affiancavano.
Non lo dicono apertamente al 118, ma quello che si teme è una perdita di fiducia nel sistema sanitario locale. «Il reparto funziona - dice un medico alzando le braccia - ci sono persone preparate, certo questi ultimi casi dubbi lasciano dello sconcerto. Ma uno non può essere responsabile del collega del turno prima».
Già, la responsabilità. Sta tutta in questa parola la riflessione di questa tragedia.

Responsabilità che un medico, o un falso medico, ha nel suo agire, responsabilità che un medico ha nello scegliere il personale che lavora nel suo staff e che ha nel valutarlo e nel consentirgli di gestire situazioni difficili.

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