
Sara Doris, vicepresidente di Banca Mediolanum, presidente del cda di Fondazione Mediolanum e presidente di Fondazione Ennio Doris, da quale esigenza è nata CosaConta e come si lega al ritardo che l'Italia accusa nell'educazione finanziaria?
«Ci siamo basati sul riscontro dei nostri clienti, che si sono detti interessati a capire meglio questi argomenti. Da qui l'iniziativa CosaConta. L'educazione finanziaria è necessariamente parte della nostra vita perché tutti abbiamo a che fare con l'economia, che è fatta da transazioni umane».
L'emancipazione finanziaria nel nostro Paese è senza dubbio in ritardo rispetto ad altri in termini di propensione e conoscenza degli strumenti di investimento, però siamo campioni nella capacità di risparmio.
«Vero. Ma il 31% del reddito degli italiani è depositato nei conti, una percentuale alta se la confrontiamo con il 12,5% degli Stati Uniti. Vuol dire che il denaro è dormiente e perde potere d'acquisto per l'erosione inflattiva. L'educazione finanziaria va proprio nella direzione di una maggiore consapevolezza e conoscenza degli strumenti finanziari più adatti per il raggiungimento dei propri obiettivi».
Il 31 marzo si è svolta la prima tappa del vostro tour di presentazione del progetto che comprende cinque appuntamenti. Quali sono i temi trattati?
«Le cinque tappe hanno lo scopo di approfondire gli argomenti economici con cui le persone si confrontano nel corso del tempo. Si affronterà il concetto di credito, approfondendo la distinzione tra debito considerato vantaggioso e quello potenzialmente dannoso. Si analizzerà la protezione, quale punto di partenza essenziale di una corretta pianificazione finanziaria, al fine di evitare che un imprevisto possa compromettere anche la più solida strategia».
Durante le tappe parlate anche di previdenza?
«Certo, soprattutto in relazione all'allungamento della vita media delle persone. E ovviamente si parlerà di risparmio e investimenti. L'intento è di sensibilizzare le persone, affiancando all'alfabetizzazione un percorso strutturato di educazione finanziaria, affinché possano acquisire strumenti utili per una gestione consapevole delle risorse».
Qual è la differenza?
«L'alfabetizzazione finanziaria è la conoscenza dei prodotti, dei servizi e delle modalità di investimento. Fare educazione finanziaria significa invece incidere nei comportamenti delle persone, cioè fare in modo che le persone cambino le loro abitudini in base alle esigenze che vengono identificate e agli obiettivi che possono cambiare lungo il percorso della vita. La differenza si vede in due esempi, che citiamo spesso».
Allude a Lehman Brothers e al caso Ronald Read?
«Sì. Il primo racconta di un gestore di un grande fondo che andò in bancarotta nonostante la sua intrinseca alta alfabetizzazione finanziaria. Qualche anno fa ha fatto invece scalpore il caso di Read, un cittadino americano con un'occupazione umile, che è diventato milionario grazie alla sua educazione finanziaria».
Come è potuto accadere un simile miracolo?
«Non fu un miracolo. Read è stato un investitore straordinariamente paziente, tenendo in portafoglio gli investimenti per decenni. Il tempo, ha vissuto oltre 90 anni, e il reinvestimento dei dividendi, gli hanno permesso di sfruttare a pieno la magia dell'interesse composto. Quindi, con i nostri incontri, vogliamo fare un po' di rumore per sensibilizzare il pubblico affinché si renda conto che il tema della cultura finanziaria riguarda tutti noi da vicino».
Da dove si inizia per realizzare questo lavoro di consapevolezza?
«La prima domanda da porsi è: qual è il valore che attribuisco al denaro, a cosa mi serve?. Secondo i sondaggi, la maggior parte delle persone, risponde enunciando dei valori: la libertà, la tranquillità, la sicurezza. A partire da questi capisaldi si può poi declinare la strategia migliore.
Ad esempio, per qualcuno sicurezza significa essere tutelati anche e soprattutto durante la terza età, quindi sarà importante valutare un corretto piano pensionistico. È molto più facile educarsi ponendosi le giuste domande. Ricercare il solo rendimento è rischioso, se non si considerano gli obiettivi realmente importanti per la vita delle persone».
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