Nel dibattito che si è svolto in Consiglio dei ministri è stata una delle maggiori sostenitrici del decreto su Eluana Englaro. È stata lei a citare il libro di Salvatore Crisafulli, Con gli occhi aperti, in cui un paziente che si risvegliato dal coma racconta la sua storia: è quello che Silvio Berlusconi ha citato anche nella sua conferenza stampa come caso emblematico. E così Giorgia Meloni, ministro della Gioventù, il giorno dopo il voto che ha messo a subbuglio la politica italiana spiega la sua scelta, e cerca di ridimensionare il conflitto istituzionale con il Quirinale: «È esploso perché non c’erano precedenti». La Meloni parla del suo punto di vista sulle questioni etiche, dei suoi dubbi sulla vicenda di Eluana.
Ministro, le è costato quel voto ieri?
«No, per nulla. Sono convinta da sempre che, nel caso di Eluana, la difesa della vita sia il punto da cui bisogna partire prima di ogni altro ragionamento».
In che senso?
«Avrei considerato molto più grave, come ministro, prendermi la responsabilità di togliere la vita a una persona viva: sapere di non aver fatto abbastanza per salvarla».
Ma Eluana è incosciente da diciassette anni.
«Però ha tutte le sue funzioni vitali: ha subìto dei danni alla corteccia cerebrale di cui nessuno conosce, o è in grado di valutare l’entità».
Non c’è attività cerebrale.
«Ma le sue cellule sono vive. Eluana non vive attaccata a una macchina, come dice qualcuno sbagliando, ma è solo alimentata artificialmente».
Sarebbe morta al tempo dell’incidente, però.
«E questo che significa? Anche un paralitico non sopravviverebbe senza assistenza alimentare».
Però lui è cosciente.
«Anche Eluana è viva. E davvero non capisco come un medico possa dire che è morta diciassette anni fa».
La sede per discutere problemi come questi è il Consiglio dei ministri?
«Perché no? Il decreto del governo serve a impedire, che in un momento di vacanza legislativa, si commetta un atto irreparabile».
Ma governo e parlamento fanno delle leggi per tutti, non possono pronunciarsi per risolvere casi personali.
«Non possiamo nemmeno chiudere gli occhi di fronte a un’emergenza che si è determinata, con questo alibi. Almeno, io non me la sento».
Se c’è il vuoto legislativo non è per una precisa responsabilità della politica? Nessuno degli ultimi governi aveva posto la questione all’ordine del giorno...
«Lo so. Ed effettivamente considero questa responsabilità un fatto grave. Ma il problema è: cosa bisogna fare oggi? Le leggi devono rispondere anche alle emergenze che si determinano, e questo caso ne è l’esempio migliore».
Perché proprio su Eluana? Ci sono stati molti altri casi...
«Proprio per i motivi che le ho detto: fra l’altro, se la legge sul cosiddetto testamento biologico fosse stata già votata, il suo caso non ci rientrerebbe».
Perché?
«Perché c’è una differenza enorme fra lo stato vegetativo e la morte cerebrale. Eluana rientra a pieno titolo nel primo caso. Parliamo di una donna che respira in modo autonomo!».
Provo a porre la questione in un altro modo: se fosse lei, a dover scegliere la prospettiva di diciassette anni di stato vegetativo, che cosa preferirebbe?
«È una domanda che mi sono fatta tante volte, non credo che esistano risposte semplicistiche, né in un senso né nell’altro».
Non le chiedo di rispondere in astratto per gli altri, le chiedo cosa farebbe per sé.
«So che l’ottanta per cento delle persone direbbe che preferisce la morte. Io, invece, anche di fronte ad una tenue speranza, preferirei la speranza. Ma sono scelte personali».
Quindi sul testamento biologico...
«Ripeto, nel caso di Eluana, non si ravvisa la fattispecie del cosiddetto accanimento terapeutico».
Parliamo del problema istituzionale che si è aperto: il ministro La Russa ha reso pubbliche le sue perplessità.
«Legittimo. Ma ha comunque votato a favore del decreto».
Lei non è preoccupata del conflitto con il Quirinale?
«Qui non si tratta di disconoscere il valore del presidente della Repubblica e il suo ruolo. Ritengo giusto che quando ci sono vuoti normativi le leggi si pieghino per colmarli».
È proprio quello che il capo dello Stato considera anomalo.
«Anche la bocciatura preventiva di un decreto che non è stato ancora approvato lo è. Siamo in condizioni eccezionali».
Il conflitto con il leader del suo partito Fini, la mette in imbarazzo?
«Per nulla. Vede, sulle questioni etiche Fini è la persona più libera che conosca. Ha le sue idee, ma non ha mai pensato di doverle imporre agli altri».
Però tutti i suoi ministri hanno votato in modo difforme.
«Le racconto un aneddoto. Quando Fini dava indicazione a favore dei referendum, trovò perfettamente normale che usassi i fondi di An, per pagare la campagna elettorale di Ag contro».
Avete discusso?
«Privatamente sì, politicamente no. Un giorno mi chiese cosa pensassi della diagnosi pre-impianto. Ma era una curiosità personale. Rispetta le scelte degli altri e le considera legittime. Quindi non considero il nostro voto come una rottura».
Non ha mai pensato a cosa farebbe se si trovasse nei panni di Peppino Englaro?
«Guardi, non ho l’arroganza di giudicare scelte compiute in una condizione in cui non mi trovo. Però...».
Cosa?
«Ho dei grandi dubbi sull’utilità della spettacolarizzazione che si è oggettivamente prodotta su questo caso. Ma anche per il carattere pubblico della sua battaglia».
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