Nella mia vita ho studiato poco e men che meno il latino. Tuttavia amo il latino. Amo il latino perché mi ricorda i verdissimi anni dell'infanzia, quando in quella verde primavera, sul verde prato adiacente la chiesa di San Biagio, quel sant'uomo del parroco don Parodi ha insegnato a me e ad altri zucconi del mio calibro a servire la Santa Messa in latino, insomma a fare il chierichetto.
Da allora ho amato il latino delle funzioni religiose e cantato in quel latino, dal suono armonioso e gioioso. «Introibo ad altare Dei a Deo qui laetifica juventute mea» (spero di non aver fatto troppi strafalcioni). Quel Dio che ha allietato la mia infanzia, la mia gioventù, la mia maturità ed oggi rallegra la mia vecchiaia. Purtroppo la voglia di cambiare, forse anche lodevole sotto certi aspetti, di officiare la Santa Messa in lingua volgare, ci ha privato, secondo me, di quel senso mistico proprio del latino, non importa se in tutto comprensibile e da tutti perfettamente inteso.
Così come ci si è allontanati dal canto gregoriano tanto melodioso ed orecchiabile. Anche qui i ricordi sono lontani ma, ad un tempo tanto vicini. Il latino mi ha interessato in modo più prosaico per le sue massime ed i suoi ricorsi alla storia sempre maestra di vita.
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