Il metodo Concita? Insultare i giornalisti

Il direttore de l’Unità ordina ai suoi cronisti dieci pagine di veleni. Il Giornale definito "un canile di segugi scatenati". Niente male per la De Gregorio allergica a dossier e scherzi. E' conciliante solo quando si occupa del suo sponsor Veltroni

Il metodo Concita? Insultare i giornalisti

Roma - Ha ragione la De Gregorio quando dice che non è il Pd l’editore di riferimento dell’Unità, che fa solo capo a Renato Soru (solo casualmente ex governatore sardo del Pd, partito che solo casualmente fa versare allo Stato diversi milioni annui all’Unità). Il suo editore di riferimento non è il Pd, è proprio Walter Veltroni. Tra i due c’è un'antica liaison intellettuale, un'affinità elettiva che solo casualmente è coincisa con la nomina della Concita in quella poltrona quando, del tutto casualmente, Veltroni ricopriva la poltrona di segretario del Pd. Peraltro la bionda direttrice, che si divide tra casa e bottega (nemmeno più oscura), tra figli e lavoro, e che di questo incredibile travaglio personale ha dato persino conto in un libro, a Repubblica era l'addetta ufficiale all'esegesi del veltronismo. Si ricordano cronache memorabili della direttrice allora inviata, un pathos che una volta sì e l'altra pure sfociava in una qualche commozione, condizione dell'anima prettamente veltroniana e quindi anche concitiana.

Ieri invece la direttrice ha messo da parte le bambole per mostrare i muscoli, confezionando un dossier (anzi, una seria inchiesta giornalistica) contro quel «canile di segugi scatenati» che poi saremmo noi altri del Giornale. Dieci pagine, dicasi dieci, per pubblicare la solita ribollita sulla «fabbrica dei veleni» (ma perché poi il quotidiano dei lavoratori disprezza così le fabbriche?), sui dossier contro i «nemici del padrone», e altre carinerie del genere. Niente di che, si vede subito che la signora è più portata all'encomio che all'attacco. La sviolinata però gli riesce ai massimi livelli solo con l'amato Walter. Il quale l'ha sempre ricambiata con generosità, chiedere informazioni ad Antonio Padellaro, ex direttore dell’Unità (oggi del Fatto) un po’ troppo critico verso il «padrone» Pd, defenestrato in quattro e quattr'otto per lasciare il posto alla sciantosa penna dal nome spagnoleggiante.

Il peggio è che Padellaro lo seppe leggendo un'intervista del Corriere a Veltroni, il quale a domanda sul futuro dell'Unità rispose testuale: «In un mondo di giornali che fanno prediche femministe ma hanno ai vertici pochissime donne, mi piacerebbe una donna alla direzione dell'Unita». Una pugnalata alla schiena di Padellaro, direttore di fatto già sfiduciato tramite Corriere, ed una palese offerta di lavoro per la Concita, già prontissima ad accettare il grave compito indicato dal capo partito. Padellaro, e lo si può comprendere, non la prese benissimo: «Quell'intervista in cui Veltroni, da segretario di partito, annunciò il cambio, resta un caso senza precedenti. Lo avesse fatto Silvio Berlusconi noi lo avremmo denunciato e criticato». Invece per Veltroni/Concita nessuno disse nulla, se non grandi incoraggiamenti e applausi per la donna che finalmente avrebbe guidato un grande quotidiano.

La De Gregorio, tuttavia, non può certo essere accusata, al pari dei «cani» del Giornale (lei, con tipico sessismo femminista, trova intollerabile che qualcuno dica «oca» a una donna, mentre «cane» a un uomo va benissimo), di compiacere il padrone. Lei no, non ha mai compiaciuto Veltroni, lo ha solo stimato molto. Quando uscì il primo romanzo catatonico di Veltroni, La scoperta dell’alba, la De Gregorio accorse palpitante per rendere omaggio - superando nello sprint la folla di lecchini pronti a elogiare il potente sindaco di Roma - al Saul Bellow de ’noatri, con un’intervista-ritratto-beatificazione sul Venerdì di Repubblica. Il pezzo esordiva con una sintesi biografica al vetriolo: «Fa il sindaco ma anche la notte il dj, ama il jazz ma anche il tango, è stato ministro e segretario di partito ma anche doppiatore di cartoni animati, è amato in Vaticano e amico di Israele, tifoso di calcio ma anche di pallacanestro, organizzatore di viaggi ad Auschwitz e in Africa per le scuole ma anche promotore del primo festival del cinema nazional-popolare (per il pubblico, cioè, non per le major)». Dopo questa sferzante critica, la De Gregorio passava agli elogi, quelli sul libro, a suo dire un’opera imperdibile, una specie di summa della letteratura del Novecento. «Un giallo, un noir, un thriller psicologico, un romanzo sugli anni di piombo, un racconto metafisico e forse onirico, una confessione autobiografica: un poco di tutto questo insieme». Riavutosi dal colpo, lei lo provocava con un’altra domanda di quelle toste: «Anche questo romanzo sembra pronto per diventare un film, scrive pensando al cinema?». Però non è che l’intervista fosse tutta rose e fiori, c’era anche la parte politica, con un vero scoop: la confessione di Veltroni sul suo prossimo congedo dalla politica («Sì, penso all’uscita di scena. Lo farò»). Invece no, lui sarebbe diventato leader di un nuovo partito e lei direttrice del quotidiano di quel partito, vedi il destino alle volte...

Altri esempi concitiani (e concitati) di indipendenza, anzi quasi di ribrezzo per il potere, si erano letti su Repubblica, sempre a riporto del mitico Walter. «Come Obama», così mestamente iniziava un pezzo della De Gregorio (grazioso watchdog del Pd) per raccontare la campagna elettorale di Veltroni nel 2008, paragonata sobriamente a quella di Barack Obama (un imitatore americano di Veltroni) e al campionato dei Giants, vincitori inaspettati del Superbowl, con una metafora sportiva di quelle che mandano Veltroni in brodo di giuggiole. Purtroppo il Pd non fece come i Giants alle successive politiche, altrimenti la de Gregorio avrebbe sfoderato il suo repertorio neo-romantico già esibito nel 2001, quando Veltroni vinse sul serio, non al cinema, le amministrative per il Campidoglio.

Il pezzo dell’attuale direttora sembrò scritto da Veltroni stesso. E vai con «Veltroni ha gli occhi che luccicano, le lacrime che tutti si aspettano, di liberazione e di rivincita, di allegria vera, di sollievo». «E poi centinaia di persone che da mesi, forse da anni non avevi visto più nei congressi e nelle sezioni, ai comizi e ai convegni». «La sinistra è tornata, eccola». Eccola, che tripudio grazie a Walter il Magnifico, che si fa attendere ma poi «eccolo, sì, sta arrivando». Che emozione, arriva. «C’è una bolgia inaudita, le donne gli lanciano dei fiori», forse moltiplicherà i pani e i pesci, chissà.

Oddio, c’è anche il nipotino di Veltroni, che dice «aspetto lo zio, lo voglio salutare». No, è troppo, sul nipotino il lettore crolla dall’emozione per il canto concitiano pro-Walter. Che ingiustizia parlare di oche, questo è un meraviglioso usignolo.

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