«La mia Finanziaria? Tagli alla spesa pubblica»

Alessandro M. Caprettini

da Roma

«Che fare?». Cent’anni dopo Lenin è la sua antitesi storica a chiederlo e a chiederselo. Silvio Berlusconi, abbandonato ormai il palazzo d’inverno, si aggira nervoso per la penisola. Riceve manifestazioni d’affetto incredibili di gente comune incrociata per strada (di ieri la comparsa di un trio femminile napoletano del club «Silvio ci manchi»), ma pur discutendo coi giovani del suo partito, ieri a colazione con gli europarlamentari, quotidianamente coi suoi più stretti collaboratori, continua a rimuginare sull’interrogativo senza dare l’impressione di aver ancora trovato un punto fermo. Di ripartenza.
«Il fatto è - confida facendo ingresso nell’albergo dei Parioli dove lo aspettavano Tajani e compagnia - che quando eri al Governo alla fine della giornata potevi dire: ho fatto questo. Ora invece ti sembra di aver concluso poco o niente...». Che fare dunque? Beh, una stella cometa «il presidente», come continuano a chiamarlo tutti, ce l’ha pur sempre: «Il bipolarismo ha ormai fatto breccia nel nostro Paese. Tornare indietro è impossibile». Da qui, lo sguardo si deve allora necessariamente impostare sul come concepire il nuovo centrodestra. Partito unico? «Ci si pensa, come sapete. Fini pare d’accordo. Casini? Non so, ma è importante dialogare anche con lui...» avverte. Tra una portata e l’altra, Berlusconi chiede pareri agli eurodeputati, ne ascolta le critiche (molte al partito che, a loro dire, li ignora). Consiglia di saldare ancor più il rapporto con il Partito Popolare Europeo e non esclude che il nome del nuovo centrodestra possa esser quello proprio di «Popolari Europei», anche se a lui pare ne sia piaciuto un altro di nome: Popolo delle Libertà, che dovrebbe riunire gli aderenti ai circoli che dice è sua intenzione rianimare, sul modello di quelli dei primi anni ’90.
«Tre mesi per decidere, poi si parte», assicura il catanese Giuseppe Castiglione. «Cinquemila associazioni culturali, poi un congresso dove si dipaneranno tutti i nodi» gli fa eco il laziale Stefano Zappalà. A cominciare dal capo della nuova formazione? Lui, il «presidente» non si fa schermo dell’età: rileva di esser disposto a farsi da parte, a cedere il passo come ha fatto nelle sue aziende, lasciando il ponte di comando ai figli, ma di ritenersi, almeno per ora, «una risorsa» che qualcosa può ancora dare. «Ragioniamo insieme» il suo invito, accolto dalla truppa di Strasburgo con l’invito a coinvolgere Tajani assieme a Cicchitto e a Bondi nella riformulazione di Forza Italia nella fase di traghettamento verso il nuovo centrodestra. Berlusconi non ha obiezioni e promette anzi che salirà ad Helsinki, fra due settimane, proprio per sostenere il capogruppo azzurro nella corsa verso la presidenza del gruppo europeo.
Annuisce alle richieste di cambiamento dell’organizzazione azzurra. Ma, pur ammettendo la necessità di por mano al partito, chiede di stoppare gli attacchi pubblici. Proprio ieri un quotidiano aveva fatto filtrare la sua benedizione ad alcuni giovani a muovere anche contro via dell’Umiltà. Vero o meno che fosse, resta il fatto che il coordinatore azzurro - come ha fatto sapere Berlusconi - gli ha spedito una «addoloratissima» missiva (in cui non è escluso che si sia dichiarato pronto a lasciare il posto), spingendolo ad uscire dal guscio del riserbo e a spendersi in sua difesa: «Povero Sandro! Uno di cui si può dire tutto ma mai che non sia più che trasparente in ogni suo gesto! Uno che si danna l’anima per fare quanto può, per Forza Italia».
Due ore e mezzo con gli eurodeputati che, per i 70 anni, gli donano fondi per una iniziativa benefica della Fondazione Luigi Berlusconi.

Poi l’uscita: una parola sulla finanziaria («ideologica»), un paio su come l’avrebbe fatta lui (sforbiciando un 1% di spesa pubblica), appoggio alle manifestazioni che «le categorie» vanno approntando contro il Governo insieme ad una aperturina verso i moderati del centrosinistra che eventualmente fossero disposti a cambiare i diktat prodiani («Vediamo»). Ma in cima ai suoi pensieri resta il che fare del centrodestra. Tanto che, quando gli chiedono se, come nel ’96, sarà magari a questo punto più presente in Europa, replica secco: «È all’Italia che bisogna pensare!».

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