Miele amaro. Le api finiscono ko

Produzione dimezzata, varietà scomparse, chiusura delle aziende. Sotto accusa il clima ma anche i pesticidi

Miele amaro. Le api finiscono ko

Sono considerate uno dei termometri della salute dell'ecosistema. Perché le api, con il loro incessante lavoro, permettono di capire se le piante e i fiori stanno bene. Proprio per questo la crisi senza precedenti del miele non sta mettendo in ginocchio solo uno dei comparti più importanti dell'agricoltura made in Italy, ma sta facendo gridare al disastro ambientale.

Il calo della produzione è costante da almeno tre anni. Ma è dalla primavera 2017 che la situazione è precipitata: ci sono intere varietà quasi azzerate. Per le altre la flessione oscilla fra il 30 e l'80 per cento. Colpa del freddo fuori stagione di aprile, che ha distrutto interi raccolti. E poi del caldo anomalo successivo, che ha devastato gran parte del Paese. Con pochissime eccezioni. «Le essenze più colpite sono quelle primaverili, come per esempio l'acacia, perché sono state influenzate dalle gelate. E quelle estive in luoghi non irrigui per colpa della siccità», conferma Ettore Capri, docente di Chimica agraria all'università Cattolica.

PIANTE SOTTO STRESS

Il risultato è che il millefiori è più che dimezzato, così come il tarassaco (salvo in alcune zone del Piemonte) e il tiglio (con la sola eccezione di alcune aree di Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Piemonte). Quasi annullata è la produzione di miele di acacia - quella più importante per il made in Italy -, così come quelle di eucalipto, girasole e melata di bosco. Uniche note positive riguardano il miele di castagno, quello di agrumi, che è andato meglio rispetto al 2016 in Sicilia e Calabria, e alcune varietà di alta montagna.

Le zone più in difficoltà sono Maremma e provincia di Alessandria. «Se la produzione fosse dimezzata come nel 2016 potremmo essere contenti. Il disastro invece è totale - conferma Giuseppe Cefalo, presidente Unaapi, Unione nazionale associazione apicoltori italiani - e nessuno poteva immaginare di arrivare a meno di un terzo del raccolto come quest'anno».

La preoccupazione non è solo di ordine economico, ma anche ambientale. «Le api ci dicono che è in corso uno stress botanico molto più grave di quanto possa apparire a prima vista prosegue Francesco Panella di Unaapi -. I cambiamenti climatici non permettono alle piante di funzionare correttamente: non secernono più nettare e polline come dovrebbero. La conseguenza è che le api non hanno più nulla da raccogliere e quindi producono meno miele». Sono i numeri per adesso soltanto provvisori a confermarlo: secondo le stime degli apicoltori, quest'anno non si arriverà a 90 mila quintali. Quando la media annuale è di 230mila. Una catastrofe. Che colpisce migliaia di persone, fra professionisti e amatori. In Italia sono circa 45mila gli apicoltori, che svolgono attività per fini produttivi o di autoconsumo. Di questi sono 20mila i produttori che detengono l'80 per cento del patrimonio apistico nazionale, pari a 1,2 milioni di alveari sparsi nelle campagne italiane. Un patrimonio di valore inestimabile con 51 varietà di miele, un valore stimato fra 150 e 170 milioni di euro più due miliardi di euro derivanti dall'attività di impollinazione delle api alle colture agricole. Una vera e propria industria, che rischia di morire.

ACACIA ADDIO

Sono decine le attività che rischiano di chiudere nonostante tanti giovani stiano scommettendo su questo settore per proseguire la tradizione. «E' una crisi senza precedenti conferma il responsabile economico di Coldiretti, Lorenzo Bazzana -. Siamo di fronte a una stagione anomala sotto tanti aspetti, con un inverno mite e poco piovoso, gelate primaverili e caldo africano in estate. Tutto questo impedisce alle api di raccogliere il nettare, soprattutto su alcune piante primaverili come l'acacia. Non dimentichiamo poi i tanti incendi che hanno colpito campagne e boschi, facendo scomparire milioni di esemplari di piante e fiori». Ed eccoli i dati del disatro. Quelli definitivi sono fermi al 2016 e sono stati forniti da Conapi. Fotografano una situazione in costante peggioramento: il miele di acacia bio è passato dalle 437 tonnellate prodotte nel 2015 alle 184 tonnellate dello scorso anno, quello di acacia convenzionale è precipitato da 266 a 91 tonnellate. Poi c'è il miele di agrumi bio, sceso da 54 a 35 tonnellate e il convenzionale da 174 a 148 tonnellate. E tutto questo a fronte dell'aumento degli alveari messi a produzione.

Colpa del clima, certo. Ma anche di alcuni pesticidi usati per coltivare. L'ultimo, in ordine di tempo, sul quale è stato puntato il dito è il neonicotinoide Thiamethoxam, che altera il senso di orientamento delle api, condannate così a morire lontano dall'alveare. «Questi insetti vivono in una vera e propria famiglia, talmente ben organizzata dal punto di vista strutturale e funzionale da essere pari a un unico organismo spiega Capri -. Il loro benessere collettivo oggi è minacciato da un cocktail di pericoli che si presenta con frequenza e intensità superiori rispetto al passato».

IL NUOVO ORO

Prosegue l'esperto: «L'aumento dell'urbanizzazione e della cementificazione, la riduzione dell'agricoltura in superfici coltivate funzionali a foraggiare le api, l'aumento dell'inquinamento ambientale di origine industriale e biologica sono le principali cause a livello globale». Eppure c'è chi invita a mantenere la calma, perché non tutto è perduto.

«La crisi c'è ma qualcosa si muove dice il presidente della Federazione apicoltori italiani, Raffaele Cirone -. Basti pensare che in Emilia Romagna ci sono comprensori interi nei quali si è fatto di nuovo un gran raccolto di erba medica, dalle quali le api possono produrre il miele. Così come di molte piante foraggere, che nutrono il terreno e sono molto resistenti al caldo. Le api sono in grado di lavorare con qualunque clima, anche in quelli molto torridi, come quest'anno».

È possibile sperare che il futuro per questo comparto possa esser più roseo. Ma occorre intervenire in fretta. «Non esistono soluzioni immediate o definitive, bisogna solo mettersi al lavoro il prima possibile per evitare che il prossimo anno ci si trovi di fronte a una situazione del genere conferma Panella -. Da parte nostra possiamo solo chiedere ai consumatori di capire e avere pazienza. Le produzioni sono in ginocchio e quindi i prezzi sono destinati a lievitare. Il miele sta diventando un bene costoso, sta progressivamente cambiando segmento di mercato. Chiediamo quindi di puntare sulla qualità, scegliendo un miele che risporti sulla confezione la sua provenienza geografica».

Bisogna guardare con attenzione la «carta di identità» del miele, che deve essere necessariamente dichiarata in etichetta, così come imposto agli operatori nazionali dalla legge italiana (con

l'indicazione del Paese o dei Paesi in caso di miscele di mieli, presenti nel vasetto commercializzato). Perché questo è l'unico modo per sostenete i lavoratori, che rischiano di non poter più proseguire con le loro attività.

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