Ventiquattro giorni in carcere. Chiuso in una cella di San Vittore. Eppure, affetto dal morbo di Parkinson. C'è voluto quasi un mese perché il giudice si accorgesse che Roberto R. non doveva stare dietro le sbarre. Ci sono volute le relazioni del medico della casa circondariale, secondo cui «la malattia del paziente è in stato avanzato e comporta una compromissione delle capacità di autogestione», tanto da ritenerlo «incompatibile con il regime carcerario». A quel punto, il 10 giugno del 2011, lo stesso giudice che lo aveva mandato a San Vittore decide per una nuova custodia cautelare: l'allontanamento dalla casa familiare. Solo mesi più tardi - esattamente l'11 aprile scorso - la quinta sezione del tribunale assolve Roberto R. dalle accuse di aver minacciato e picchiato la sorella per «totale vizio di mente». Insomma, l'imputato era incapace di intendere e volere al momento dei fatti contestati. In realtà Roberto (62 anni a settembre, assistito dall'avvocato Alarico Rampinini) non ha un carattere facile. Anzi, il tribunale conferma che sono «sussistenti i fatti ascritti all'imputato». Alla sorella chiede soldi, le dice con un coltello in mano che «prima o poi ti ammazzo». Ma «le risultanze dibattimentali non lasciano dubbio sull'esistenza di una infermità mentale che ha inciso sull'aspetto volitivo della complessa capacità» di Roberto di «autodeterminarsi liberamente». In altre parole, l'uomo è la prima vittima della sua malattia.
Eppure ce n'è voluto perché il giudice per le indagini preliminari Anna Marchiondelli - che inizialmente aveva disposto il carcere e lo aveva mandato a processo con giudizio immediato - decidesse di farlo uscire da San Vittore. Nonostante l'allarmata relazione del medico della casa circondariale - datata 27 maggio 2011 - parlasse di «scarso controllo degli impulsi» e di «gravi crisi di agitazione psicomotoria».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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