Le otto detenute arrivano sul palco del Teatro Elfo Puccini fino al 16 maggio con un «permesso di necessità». Saranno accompagnate dalla scorta, e si dormirà a Milano, in prigione. Dal reparto di Alta Sicurezza del Carcere di Vigevano un viaggio in un pullman della Polizia Penitenziaria e poi sul palcoscenico di corso Buenos Aires, per presentarsi come attrici nelle quattro serate parte del progetto «educarsi alla libertà» firmato da Mimmo Sorrentino. Classe 1963, una laurea in scienze Politiche a Urbino, il drammaturgo e regista è ideatore da ormai quasi 30 anni del «Teatro Partecipato», un metodo di lavoro sul palco con persone in stato di difficoltà che è oggetto continuo di studi e di tesi e si basa sull'analisi di se stessi: «andare oltre l'orizzonte del teatro, dentro l'anima dell'attore». Sorrentino è già stato all'Elfo, ma «questa è la prima volta che andiamo in scena con tutti e tre gli spettacoli nati in carcere- dice il regista e drammaturgo-. E il fatto che il loro permesso sia riconosciuto come di necessità' è per me molto importante».
Il progetto di Sorrentino è diventati un caso di rilevanza nazionale sia per la straordinarietà dei prodotti artistici realizzati (alcune di queste detenute\attrici insegnano teatro in carcere agli studenti del lll anno del corso attori della Scuola Paolo Grassi), ma soprattutto per le ricadute sociali e giuridiche che ha generato. Sociali perché grazie a questi lavori vi è una conoscenza diretta e nuova della condizione femminile nei contesti di criminalità organizzata e perché ha tracciato nuove strade per parlare del fenomeno, proponendo nuove strategie per superarlo. L'infanzia dell'alta sicurezza è un lavoro che è partito nel 2013 e in cui sette donne recluse a Vigevano raccontano cos'è stato per loro il tempo dell'infanzia. O meglio: il testo è nato dall'ascolto reciproco delle storie di ognuna, ma nessuna in scena recita la propria. Sangue è uno spettacolo del 2015, ed è interpretato dalle stesse sei detenute del reparto di alta sicurezza con tre Agenti di Polizia Penitenziaria sempre di Vigevano. Si raccontano i delitti di sangue a cui queste donne hanno assistito, e come abbiano influenzato i propri destini, straziandoli. Lo spettacolo è una coraggiosa richiesta di perdono. Infine Benedetta svela la condizione femminile nei contesti di criminalità organizzata, e ha come protagoniste, insieme alle detenute, Donatella Finocchiaro, già attrice in teatro di Luca Ronconi, e Margherita Cau, che si è formata in carcere. Lo spettacolo è accompagnato dalle musiche di Andrea Taroppi. Sono tutti lavori su cui Sorrentino si concentra da anni, ma per lui tempo non è un'unità di misura: «A me interessa la necessità' di un attore- dice-. È fondamentale riuscire a intercettare il bisogno che un gruppo ha di entrare in rapporto. Chi viene da scuole di teatro ha più sovrastrutture, io amo lavorare con detenuti, come con ex tossico dipendenti, perché mi interessa che le persone indaghino in se stesse per capire cosa hanno davvero bisogno di esprimere, e lo facciano attraverso il teatro». Si può riconoscere in quest'idea l'eredità del teatro di Grotowski, Stanislavskij, Tadeusz Kantor, Eugenio Barba, o Ardaud... «aldilà dei precedenti -taglia corto Sorrentino- trovo stimolante lavorare con chi non sta bene perché la bellezza ha sempre origine dal dolore».
È pericoloso stare con dei detenuti? «No assolutamente. Ma è complesso. Come farsi dire da un idraulico come ripara un lavandino: ci sono varie parti da coordinare, tutte sensibili e nessuna va ferita. Complicato, sì, quindi, ma possibile».
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