Caso-derivati: «Dal Comune leggerezze imperdonabili»

Per dirla in modo gentile, «il comportamento del Comune di Milano è stato, a dir poco, non all'altezza della situazione». Detto invece un tantino più brutalmente, Palazzo Marino ha agito con una «leggerezza imperdonabile» e senza mai essere «all'altezza della situazione». Insomma, l'amministrazione ne esce con le ossa rotte. Sono le motivazioni della sentenza con cui il tribunale ha condannato le banche finite a processo per la presunta truffa dei derivati sottoscritti nel 2005 dall'allora sindaco Gabriele Albertini e poi rinegoziati da Letizia Moratti.
È vero, scrive il giudice Oscar Magi, che i quatto istituti di credito (Jp Morgan, Depfa, Deutsche e Ubs) «avrebbero dovuto rendersi conto» che Palazzo Marino non era un «operatore qualificato» e quindi non avrebbero dovuto «approfittarsene» ma, al contrario, rispettare le norme che «prevedono un' adeguata informazione al cliente». Tuttavia, «non può dubitarsi che il Comune non si sia comportato in nessun momento della operazione poi conclusa come un “operatore qualificato”». E questo - pur non avendo alcun rilievo penale - «costituisce certamente una colpa da parte» di Palazzo Marino, «ma questa colpa si specchia in modo evidente sull'altra faccia della trattativa e costituisce la più formidabile prova della incapacità» dell'amministrazione.

Perché «affidare la creazione e la gestione del contratto di swap alle stesse banche che gestivano come arrangers il collocamento del bond è stata una ingenuità formidabile che, sebbene causata anche dall'interessato consiglio degli arrangers medesimi, dimostra in modo assai chiaro quale fosse la capacità contrattuale del Comune e la chiarezza informativa dispiegata nella vicenda».

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