(...) Che fine ha fatto l'amministratore di condominio?
«Dalla fine della diciassettesima legislatura, ovvero dal marzo 2018, sono ufficialmente in pensione operosa: occupo il tempo senza difficoltà anche se su base volontaria».
Milano che città è diventata?
«Gli indici oggettivi delle statistiche, tenuto conto che Churchill diceva Ci sono bugie, bugie dannate e statistiche descrivono una Milano dove si vive bene, con una solida economia, una città che vive una fase molto favorevole».
Che affonda le sue radici negli anni passati, anzi in passate amministrazioni di centrodestra.
«È inutile negare che l'amministratore di condominio fece arrivare sulla città 30 miliardi di investimenti. Negli anni in cui abbiamo avuto responsabilità di governo, abbiamo fatto la nostra parte. All'epoca Adriano Celentano protestava per la costruzione dei grattacieli, Luigi Baruffi mobilitava le piazze e Milly Moratti, disponendo di fondi ingenti, pagava schiere di amministrativisti che preparavano ricorsi su ricorsi».
E adesso?
«A cose fatte, tutto ciò volevano stoppare è diventato l'orgoglio della città. Hanno utilizzato quei luoghi della nuova architettura urbana per celebrare assemblee di partito e coniare lo slogan Ti ricordi com'era? Avanti Milano, utilizzato per la campagna elettorale di Giuseppe Sala».
Una fase di innovazione avviata da lei?
«Milano sta vivendo la fase di completamento del percorso urbanistico avviato e portato avanti dalla nostra amministrazione con capitali raccolti nel mondo, con tredici celebri architetti impegnati a creare il meglio. Un processo di marketing urbano ingentissimo, avviato nel 98/99. Expo è stata la vetrina, ma il contenuto era la città che nasceva grazie agli investimenti raccolti: 30 miliardi contro i 3 serviti a Expo. Chi investì 2,5 miliardi su Porta Nuova rispondeva così a chi domandava se fosse un rischio: Chi distribuisce le carte è persona onesta. La gara è leale».
Una bella medaglia per lei.
«Se vogliamo equiparare il termine al minimalismo degli esordi, fu come essere amministratore di migliaia di condomini. Seguendo il dettame evangelico: al banchetto non ti sedere al tavolo d'onore, ma attendi che il padrone di casa ti inviti accanto a lui. Ho saputo attendere i risultati. Oggi anche il sindaco riconosce tutto ciò, con oggettività».
La sua squadra in Comune?
«Ho sempre scelto i miei collaboratori per capacità e competenza da Magri a Soresina, Parisi, Del Debbio, Talamona, Porta, Carruba. A una validissima squadra si è aggiunta la città, abbiamo governato puntando su fatti concreti, pochi proclami e la comunicazione è sempre arrivata a cose fatte, non su promesse».
Che città era Milano?
«Una città aperta, con criteri rigorosi per rigenerarsi. Come per i parcheggi, mai realizzati, bloccati per dare attenzione a piccole entità, trascurabili ma agguerrite che hanno impedito di mettere le auto sottoterra e dare più spazio alla città. E voglio sottolineare il ruolo di coprotagonista, in quella fase di sviluppo, di Roberto Formigoni, allora presidente della Lombardia. La conferenza stampa sugli oneri di urbanizzazione fu il segno tangibile di quanto Regione e Comune fossero sinergici: il palazzo della Regione consegnato alla storia dell'architettura e gli oneri a dare linfa allo sviluppo della città».
Milano capitale del food?
«Milano è sempre all'avanguardia, la moda e i servizi che sostituiscono la manifattura, lasciando spazi di «non città» colmati da nuove architetture, la città più cablata con l'operazione Fastweb, pubblico e privato insieme. Oggi il food, argomento cool, profilo alto del benessere».
Merito di Expo?
«Expo ha dato un forte contributo, uno dei marchi dell'Italia, l'enogastronomia che a Milano funziona, luogo dove l'investimento genera sviluppo. A breve aprirà Cipriani».
La sua Milano del buon cibo?
«Sono affezionato ad alcuni ristoranti: oggi che vivo in zona City Life frequento Arrow's, Montecristo, il Pesciolino dove andava Mike Bongiorno: il proprietario Shamir, è arrivato a Milano dall'Egitto come lavapiatti, oggi ha sposato una donna italiana ed è imprenditore, bella storia milanese».
Apprezza l'offerta gastronomica multietnica?
«L'uomo è ciò che mangia: la civiltà del cibo porta con sé il segno dell'internazionalità di Milano e la crescita della qualità della vita».
A City Life la scelta è enorme, architettonica e ristorativa.
«Culture differenti integrate nel cibo: il giapponese Isozaky, Zaha Hadid, donna di nazionalità irachena, naturalizzata britannica, le ho stretto la mano a Londra. Poi Libeskind, ho cenato con lui a New York: una storia formidabile, ebreo polacco nato sotto il tallone nazista, subisce anche quello sovietico, poi si sposta a New York e costruisce la Torre della Libertà. I tre grattacieli meritano l'Oscar dell'architettura dalla giuria di Chicago che ha già premiato Bosco verticale e Palazzo della Regione».
Milano.
«Milano è questo: capacità di metabolizzare i talenti. Al Famedio sono sepolte molte personalità che l'hanno scelta per esprimere se stessi: il primo fu Sant'Ambrogio, nato in Germania e già europeo».
Albertini in cucina?
«Da ragazzo sono stato cuoco di un campeggio organizzato da padre Uberto Ceroni, oggi novantenne: un gesuita vero che anche diventasse ateo, resterebbe gesuita. Cucinavo per trenta persone: spaghetti al sugo, bistecca e patate al forno. Cose semplici, un'esperienza cospicua, appetiti forti, portavo anche in tavola. Nella vita privata conservo un ricordo con mio fratello Carlo Alberto, scomparso nel 2014: avevamo casa a Bormio e cucinavo io. Mi ero specializzato nel risotto ai funghi: soffritto, brodo giusto, mantecatura con panna e formaggio e funghi di alta qualità».
E oggi?
«Oggi amo la convivialità della tavola, uno dei piaceri praticabili a tutte le età, fatto di confidenza e del vivere insieme».
Il profumo dell'infanzia?
«Sono due: il primo è la fabbrica, l'olio, il lavoro. Mio padre fondò la sua azienda nel 1932 e abbiamo abitato sopra la palazzina uffici. Il secondo è la montagna delle vacanze a Gressoney a Villa Belvedere, odore di stalla e profumo dei prati».
Il difetto che non sopporta?
«Il tradimento della fiducia. Per una bella espressione latina che nella vita ho praticato la fiducia è come l'anima, non ritorna una volta partita. Io tendo a dare fiducia e non mi imbarazza ringraziare. Ma davanti a un tradimento sono vendicativo, restituisco. Non sarà molto cristiano, forse più gesuita: Nel bene e nel male era solito rendere la pariglia».
La qualità che apprezza?
«La lealtà, il contrario di ciò che non accetto. Ho avuto a che fare con moltissime persone: come imprenditore, in Confindustria e da sindaco, gli scorretti creano danni enormi. La lealtà senza opportunismi è grande qualità, soprattutto quando costa: salire sul carro di chi vince è facile, ma essere leali nel fosso dei perdenti è ben altra cosa».
È goloso?
«Lo sono diventato, oggi ho un profilo edonistico molto intenso».
Le sirene che cantano un suo ritorno nella politica attiva?
«Ricevo spesso sollecitazioni da soggetti della società civile e molti mi dicono che dovrei tornare.
Ma compio 70 anni e la mia non è l'età per fare il sindaco di una grande città. Forse avrei dovuto accettare di fare il ministro quando mi venne offerto. Ma invidie e gelosie nel governo Letta lo impedirono. Però non faccio nomi, voglio iniziare l'anno con pensieri positivi».Andrea Radic
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.