«A Milano troppi spazi di grande qualità restano vuoti perché sfitti e invenduti». E ancora «il tema della trasformazione in spazi culturali degli uffici vuoti è attuale in una città dove se ne contano 800mila metri quadrati, l’equivalente di 30 Pirelloni». Così parlò l’assessore alla Cultura Stefano Boeri che per primo ha benedetto l’occupazione della torre Galfa, pardon la trasformazione della torre Galfa in Macao, nuovo centro per le arti milanesi. Per ribadire il concetto postava su Facebook il link di un’associazione newyorkese che si occupa del riutilizzo di spazi abbandonati. L’archistar, con la mente oltreoceano, si è dimenticato che, a due passi dal suo ufficio, si trova un teatro chiuso dal 1998 che rappresenta un pezzo della storia di Milano. Il teatro Lirico. Qui debuttarono le opere di Leoncavallo, qui il Duce tenne il suo ultimo discorso, qui si esibì Giorgio Gaber e qui Strehler mise in scena Brecht.
Bene, si tratta di uno spazio culturale di eccellenza, di proprietà comunale, abbandonato, e su cui la nuova giunta in un anno di amministrazione non ha formulato alcun progetto concreto. Le poltrone, quello che è rimasto dopo l’assaggio di ristrutturazione avviata da Gianmario Longoni. Peccato che la Cile, l’impresa che avrebbe dovuto eseguire i lavori sia fallita, così come la cordata di imprese guidata da Longoni vincitrice del bando nel 2004. Il Comune ha rescisso il contratto di concessione a avviato la pratica per la riconsegna dell’immobile per inadempienza contrattuale. Parallelamente il patron dello Smeraldo ha chiesto al Comune il riconoscimento dei lavori di demolizione effettuati. In pratica Palazzo Marino ha di nuovo le mani libere, e può decidere cosa fare del Piermarini bis. Basta decidere. Ma nessuna decisione è stata presa. La scala si era fatta avanti e aveva chiesto il teatro ridisegnato da Cassi Ramelli come secondo palcoscenico. Un’operazione costosa per la Fondazione- il cui presidente per altro è il sindaco - alle prese con un nuovo statuto e incassi da far crescere di anno in anno. Per poter affidare alla Scala il palco di via larga comunque sarebbe necessaria la trasformazione in fondazione (indispensabile per un’assegnazione diretta, trattandosi di un bene demaniale). La seconda ipotesi è bandire una nuova gara per la gestione per 15 -20 anni della sala in cambio della ristrutturazione.
E così se Boeri spazia dalla Grande Mela al «modello Genova», Dario Fo (nel tondo) che ha partecipato alle 18 alla assemblea pubblica ieri citava l’esperienza della Palazzina Liberty, da lui occupata negli anni Settanta con una decina di compagnie teatrali, ristrutturata e diventata un centro di produzione teatrale. «Macao così è troppo lontano, io voglio sapere cosa fate. Dovete riempire questa di significato, diventare qualcosa per la gente - teorizzava -: alla Palazzina Liberty la gente non veniva per curiosità ma perché noi dicevamo cose che i mezzi di comunicazione non dicevano».
Strenuo sostenitore dell’urgenza del recupero del Lirico all’epoca di Sgarbi assessore - «preoccupato» dal lontano 2008 dell’effettivo avvio dei lavori «poiché per troppe volte la città ha assistito ad ipotesi poi smentite dai fatti» - ieri Pierfrancesco Majorino ha benedetto gli emuli del Teatro Valle occupato: «Lo scandalo non è che ci sia un’occupazione ma che in questa città ci siano tanti spazi inutilizzati, per un immobilismo che dura da 20 anni» pontificava. Come il Lirico? Viene da chiedergli. Morale: Macao «tira» - ancora per poco (lunedì è previsto lo sgombero), il Lirico non più. Perché allora non fare due più due e dare a Macao il Lirico?
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