"Cuore di cane" e l'ipofisi umana

Stefano Massini: "Vi spiego la ferocia con cui Pallino diventa il cittadino Pallinov"

"Cuore di cane" e l'ipofisi umana

Al Piccolo Teatro Grassi, andrà in scena «Cuore di Cane» di Bulgakov (21 gennaio - 10 marzo). Scritto nel 1925, il romanzo (censurato in Russia fino al 1987) racconta la vicenda del cane randagio Pallino (Paolo Pierobon), al quale il professor Preobraénskij (Sandro Lombardi), medico che lavora con una clientela di ricchi moscoviti e cerca una terapia per ringiovanire le persone, trapianta l'ipofisi di un balordo, morto da poco. Scoperto che l'ipofisi nasconde il segreto dello sviluppo, il dottore procede alla forzata rieducazione del cane, per farne un essere umano a tutti gli effetti. La situazione gli sfugge di mano: Pallino diventa il «cittadino Pallinov», ideale dell'uomo nuovo sovietico tanto detestato dal borghese e nostalgico professore.

«La peculiarità di Bulgakov è nella ferocia della sua lievità - spiega Stefano Massini - Basta prendere la trama: è in fondo la vicenda di un cagnolino trasformato in uomo per errore, con lo spiacevole incidente che a toccargli in sorte è l'ipofisi di un mezzo criminale, da cui l'indole disgraziata del nuovo essere. Tutto qui. Ed è proprio questa cornice a farti accettare, mimetizzata, la durezza sostanziale di un atto d'accusa violentissimo, contro tutto e tutti, contro le nostre idiozie e i nostri finti equilibri, contro le pochezze e le miserie che neppure ci saltano più agli occhi, tanto fanno parte della giostra sociale. Il punto illuminante, a mio avviso, sta nella riflessione di Bulgakov sul rapporto fra uomo e denaro: la civiltà moderna, tecnologica, si illude di controllare il più inflessibile degli orologi naturali, quello per cui il nostro aspetto fisico prende progressivamente a deteriorarsi. Il professor Preobraénskij incarna in qualche modo la disperazione dell'uomo moderno, ricco e istruito, quando gli sembra inaccettabile che noi inviamo sonde nell'universo inesplorato ad anni luce di distanza, ma non abbiamo trovato il modo di archiviare rughe, canizie e tutto il repertorio geriatrico. Questa contraddizione in effetti ci abbatte, è innegabile, perché in essa cogliamo un limite imprescindibile della nostra condizione, uno spartiacque fra il perimetro dell'umanità e quello del divino».

Per Giorgio Sangati, nuovamente regista di una produzione del Piccolo Teatro, dopo il successo di «Le donne gelose» di Carlo Goldoni nel 2015, portare in scena oggi questo testo risponde a una specifica necessità: «Il romanzo è una spietata diagnosi del fallimento della rivoluzione, che da potenziale forza propulsiva si è trasformata in cancro del sistema. La trasformazione di Pallino da cane a uomo si traduce nella sua disumanizzazione ne fa una sorta di anti-Arlecchino post sovietico, preso a calci, ustionato, reclutato, operato, rieducato, registrato e sfruttato, schiacciato tra l'esperimento positivista del Professore e quello sociale del nuovo sistema politico. Sono convinto che Bulgakov e Cuore di cane contengano qualcosa che ci riguarda in questo preciso momento. Non si parla tanto di un cane, ma di qualcuno che è trattato come un cane, è emarginato, inascoltato, controllato, imprigionato. Mi sembra che oggi abbondino gli esempi di questo atteggiamento verso chi, per qualche motivo, non reputiamo uguale a noi, non pienamente uomo, perché non parla la nostra lingua, non la capisce, non vive secondo le nostre convenzioni.

Mi piacerebbe offrire al pubblico gli strumenti per riconoscere nell'oggi episodi che sono già accaduti e purtroppo capiteranno di nuovo ma dai quali è possibile difendersi. Come? Sviluppando una vigile consapevolezza. Diversamente, si è destinati a subirli».

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