Il night club «Bizarre», in fondo a via Ripamonti, era un club per scambisti di proprietà di un boss della 'ndrangheta. Dal 2018 il Comune lo ha utilizzato più volte come dormitorio per i clochard durante l'emergenza freddo, ora vuole assegnarlo a lungo termine per qualche progetto sociale. La «casa col buco» di via Mosso invece, abbandonata per anni nella traversa di via Padova, era diventata un covo di spacciatori. Il proprietario era Stefano Reccagni, finanziere bresciano accusato di dirigere un giro di falsi permessi di soggiorno. Da quattro anni è stata assegnata a Palazzo Marino che ha chiesto fondi del Pnrr per riqualificare l'immobile e inserirlo nella rete dei progetti di «housing first», mini appartamenti usati per accogliere gli «irriducibili» della strada, i senzatetto che rifiutano a tutti i costi il dormitorio. La giunta ha presentato una manifestazione di interesse al Ministero del Lavoro il mese scorso e a breve farà la richiesta ufficiale per ottenere 500mila euro per le opere e 70mila all'anno per tre anni per il progetto. Due esempi a caso. Si tratta di spazi confiscati alla criminalità organizzata. Oggi si celebra il 26esimo anniversario della legge n.109 del 1996 che permise per la prima volta di usare a scopo sociale beni sottratti a mafia e altre organizzazioni. I Comuni possono usarli direttamente, concederli gratis a enti e associazioni tramite bando o affittarli e reinvestire le risorse nel welfare. E Palazzo Marino vanta un patrimonio importante, 215 unità per un valore stimato di circa 18 milioni di euro. Nel dettaglio si tratta di 105 appartamenti, 34 box, 26 locali commerciali, 11 magazzini, otto terreni. La concentrazione maggiore nel Municipio 3 (conta 42 beni) e nel 2 (sono 36). E ben 128 delle 215 unità immobiliari sono già state assegnate gratuitamente a enti del terzo settore, che hanno dato una seconda vita a spazi che spesso e volentieri hanno ospitato direttamente le attività illegali. Altri 17 spazi sono gestiti da Mm come alloggi popolari, 13 sono affittati a privati e i proventi sono reinvestiti in progetti sociali, sette vengono utilizzati dalla direzione Welfare e Salute. E nei prossimi mesi il Comune conta di aumentare il patrimonio, tra poche settimane presenterà all'Agenzia nazionale per l'amministrazione e destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc) la manifestazione di interesse per altri 10 immobili. Entro l'estate invece si chiuderà il bando in corso per affidare 14 nuove unità al terzo settore, in questo caso il Comune ha chiesto di presentare progetti che riguardassero la lotta alla criminalità, attività di accoglienza o servizi di promozione culturale e dei diritti civili.
A Milano c'è il bene confiscato alla mafia più grande della Lombardia, nove ettari di terreno e 1.600 metri quadri di strutture che fino al 2009 appartenevano al boss della 'ndrangheta Pasquale Molluso. Dal 2018 «Casa Chiaravalle» è assegnata a Passepartout che ha aperto una comunità per minori, residenze per donne vittime di violenza o famiglie in emergenza, percorsi di sollievo per anziani. In viale Espinasse 106 invece è stata realizzata una biblioteca di condominio aperta ai cittadini, in via Varesina 66 un ex autosalone è diventato scuola di italiano per mamme straniere e sportello di mediazione linguistica.
«A distanza di un quarto di secolo dalla legge sull'uso sociale dei beni confiscati - sottolinea Nando Dalla Chiesa, presidente del Comitato Antimafia che fa capo al sindaco - Milano sta vincendo la sfida. La percentuale dei beni utilizzati rispetto a quelli disponibili è molto alta rispetto alla media nazionale. Ora il salto definitivo sarà far nascere anche nuove esperienze imprenditoriali, come si sta iniziando a fare a Cisliano, dove con la cooperativa Madre Terra sta partendo la produzione di barbera, o quella che a Gaggiano ha fatto nascere dal Bosco dei Cento Passi il miele biologico della legalità».
L'assessore al Welfare Lamberto Bertolè conferma che a Milano «si concentra uno dei numeri più alti di beni confiscati alla criminalità organizzata. Ciò dimostra da una parte l'interesse che le organizzazioni criminali hanno per la nostra città, dall'altra anche l'efficacia dell'azione delle istituzioni nel far emergere le infiltrazioni mafiose. La scelta di assegnare questi beni ai Comuni è stata molto lungimirante perché gli enti locali conoscono i territori e i loro bisogni e possono sviluppare collaborazioni virtuose con le associazioni e il terzo settore.
Il loro ruolo, prosegue, «deve essere quello di far rivivere questi posti, trasformandoli in presidi di legalità che i cittadini possano animare e vivere. Progetti che vogliamo ancorati ai quartieri, perché le stesse persone che negli anni hanno assistito al declino di questi posti e al malaffare che vi dimorava, possano vedere adesso la loro rinascita».
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