Diario di Hannah Arendt sul processo al nazismo

Torna al cinema il documentario «Vita activa» La condanna di Eichmann vista dalla scrittrice

Ad Hannah Arendt, filosofa tedesca di origini ebree, sono stati dedicati fiumi di inchiostro e celluloide. Anche recentemente il cinema se ne è occupato con un intenso film di Margarethe von Trotta, uscito un anno con Barbara Sukova nei panni dell'autrice. Apparve fugacemente nelle sale italiane e finì ai margini dei più visti sul grande schermo. Tanto è vero che sparì e quasi nessuno se ne accorse. Un destino ingiusto per un'opera che meritava una platea più ampia.

Ben diverso riscontro ebbe invece Vita activa, un documentario ispirato alla vita e al pensiero della Arendt che torna a grande richiesta allo Spazio Oberdan dove viene replicato stasera alle 21.30, domenica alle 16.30, lunedì alle 18 e mercoledì 5 alle 21.15. Due ore di un viaggio attraverso la storia e la stagione più buia del Novecento, vissuto dalle pagine di uno degli scritti più importanti della pensatrice costretta a scappare dal suo Paese nel '37 per sottrarsi alle persecuzioni di Hitler e rimasta apolide fino al 1951 quando ottenne la cittadinanza americana.

Hannah Arendt - nota agli studiosi e a chi ama la storia per il saggio politico Le origini del totalitarismo in cui si spiega la genesi, i rischi, i pericoli e le storture di questa «forma di regime» largamente in voga per buona parte del secolo scorso - viene raccontata attraverso le pagine di un altro suo libro capolavoro, La banalità del male, da lei scritto nel corso del processo ad Adolf Eichmann, il gerarca nazista, sequestrato in Argentina dagli israeliani nel 1960, condannato a morte per genocidio nel '61 con sentenza eseguita l'anno successivo.

Il saggio cui si ispira il documentario in questi giorni sugli schermi dell'Oberdan rappresenta una sorta di diario della Arendt, all'epoca inviata del settimanale New Yorker alle sedute del processo. Nulla a che fare però con noios trascrizioni di quanto accadde giorno dopo giorno perché la filosofa arrivò a una conclusione che andava in tendenza opposta rispetto alla chiave interpretativa fornita nelle Origini del totalitarismo.

Hannah Arendt infatti concluse che i tedeschi responsabili o corresponsabili del disastro della Shoah non agirono perché depositari di un indole maligna, profondamente radicata nel loro

animo, ma per una totale e assoluta incapacità di rendersi conto e capire la portata del male che stavano compiendo. Non fu un'attenuante, ma piuttosto la drammatica misura della loro follia. E dei disastri che produsse.

SteG

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